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Charta 77, perché la felicità non scompaia

Charta 77, perché la felicità non scompaiaPraga. Foto in pagina di Dario Bellini

Resistenze A Praga, una storia di dissidenti, artisti, gruppi underground, prassi alternative

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 maggio 2023

Perché la felicità non scompaia è il titolo del libro che ricorda «Magor» alias Ivan Martin Jirous leader dei Plastic People of Universe, la famosa band underground degli anni 70 a Praga. Niente a che vedere con le invettive dell’articolo non firmato sul Rude Pravo, quotidiano organo del partito comunista del 12 gennaio del 1977 che aveva come titolo «Falliti e usurpatori». Era l’apparato più conservatore della normalizzazione post 1968 che tacciava di sedizione i dissidenti che avevano pubblicato a gennaio del 1977 la prima Dichiarazione di Charta 77, firmata da 241 persone tra cui Václav Havel, Jirí Hájek, Pavel Kohout, Jan Patocka, Zdenek Mlynár, Jirí Nemec. Immediatamente Havel, Ludvík Vaculík e Pavel Landovský lo stesso giorno della pubblicazione furono fermati dalla sicurezza statale mentre tentavano di recapitare il documento al Parlamento, all’ufficio del governo federale e all’agenzia CTK. Ormai però la Dichiarazione e la notizia della nascita di Charta 77 era già arrivata all’estero e Le Monde la pubblicava il giorno dopo.

Iniziava così una intensa campagna di repressione, interrogazioni e perquisizioni ordinate dal segretario generale del partito comunista e presidente della repubblica Gustáv Husák che bollava gli autori di «un pamphlet nemico di organizzatori falliti della controrivoluzione del 1968. Chi voleva contrabbandare una controrivoluzione in casa nostra ha già avuto ciò che gli spettava. Dopotutto, devono essere consapevoli che qualsiasi nuovo tentativo deve fallire all’inizio, l’anno 1968 non si ripeterà».

Nonostante le minacce l’attività di Charta non si è fermata per arrivare nel tempo a 1.883 firmatari e produrre 572 documenti in forma di Samizdat. Ci sarebbero voluti più di dieci anni di regime per arrivare alla rivoluzione di velluto del 1989, e infatti per dissidenti intellettuali, artisti, musicisti e semplici cittadini le cose non sarebbero andate proprio bene per molto tempo.

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Repressione
La «seconda cultura» come veniva chiamata era sorvegliata a vista. Chi aveva firmato la dichiarazione di Charta quasi sempre veniva licenziato e non poteva più aspirare ad un lavoro secondo le proprie esperienze. Il ministero degli Interni lanciava un operazione segreta di «sanificazione» per incoraggiare gli individui non desiderati ad emigrare all’estero con le loro famiglie. Racconta Vladimir Zavadil in Abi radost nezmizela della partenza da Hlavní Nádrazí dove in tanti erano andati per i saluti, tutti scherzosi e commossi. «Avevamo le nostre tre valigie, che ci portavamo nel mondo, ogni cosa in tre valigie di carta, sigillate dalla polizia. Tutto documentato, ogni calzino, praticamente tutto, anche il vasetto del piccolo František che ancora non sapeva camminare». Ma i saluti erano cominciati già prima con Martin Magor, Vlada, Marketa, Tomáš, Jirí e Olinka, «cinque giorni nonstop ci siamo tirati per osterie, vinerie, buffet fino al treno in partenza per Vienna, che ha fatto pochi metri e si è fermato. Tutti in lacrime, poi è ripartito». In totale circa 200 signatari della Charta hanno dovuto accettare l’emigrazione. Nel 1979 sarebbero stati processati e condannati Petr Uhl a cinque anni, Václav Havel e Václav Benda a quattro e mezzo, Jirí Dientsbier e Otta Bednarova a tre anni, Dana Namcová a due anni poi ridotti a sei mesi.

Il fenomeno Underground
Già alla fine degli anni 60, tra turbolenze, cultura alternativa e cambiamenti sociali la rivoluzione psichedelica degli Hippy di Haight Ashbury a San Francisco si stava espandendo in Europa. La musica era un grande catalizzatore, al Golden Gate Park si esibivano i Jefferson Airplane e i Grateful Dead e nel ’69 il festival di Woodstock segnò un passaggio fondamentale che risuonava anche in centro Europa.

Dal punto di vista dei dissidenti di Charta 77 tutto iniziava nel 76 con un matrimonio. Una festa che continuava con il «Secondo Festival della Seconda Cultura» dove parteciparono tra gli altri il gruppo dei Plastic People of Universe e il gruppo dei DG 307 (codice di instabilità mentale). Su Ponte Carlo era stata scattata l’iconica fotografia di invito al festival di Bojanovice che ritraeva tutta la compagnia che celebrava le nozze di Ivan Martin Jirous, alias Magor, con Juliana Jirousova.

In Cecoslovacchia si ascoltava la musica pop importata di contrabbando e numerosi erano i gruppi musicali e i complessi locali. «Ci piacevano Frank Zappa, i Velvet Underground, The Fugs, i Doors, era quella la musica che ascoltavamo» mi dice Ondrej Nemec quando sono stato a casa sua, a fianco del «Tancící dum» la casa-danzante sul lungo fiume davanti a Jiraskuv most. Gli stili di vita beatnik e hippie erano ben conosciuti e praticati ma in Cecoslovacchia il regime classificava come antisociale ogni forma di dissenso e preferiva chiamarli teppisti huligani. La cortina di ferro cercava di ostacolare l’arrivo delle notizie dall’estero, per acquistare i prodotti occidentali imperversavano i buoni Tuzex che venivano cambiati al mercato nero ma, anche se per comprare una Fiat 500 ci volevano almeno una cinquantina di stipendi la situazione economica aveva raggiunto un certo livello di benessere e il modello socialista garantiva un buon livello di assistenza sociale. Le scuole erano ben organizzate, ma per accedere agli studi universitari bisognava dichiarare fedeltà al partito. Dopo la guerra del Vietnam sono stati accolti molti vietnamiti, in nome dell’internazionale socialista erano forti i legami con Cuba e molti studenti africani studiavano nelle università mentre era impossibile per i cechi viaggiare all’estero e c’era anche chi semplicemente non condivideva quell’ideale sociale di controllo totale fatto di regole e Spartakiadi.

Da Charta story, mostra a Praga nel 2019

Il re di maggio
Anche Allen Ginsberg nel 1965 era stato a Praga. Come dice nella sua poesia Král Majáles (Il Re di Maggio) veniva da Cuba per un viaggio, invitato da alcune associazioni letterarie, in Cecoslovacchia, Polonia e Russia. Prima tappa a Praga per una lettura all’Unione degli Scrittori e ospite d’onore al caffè Viola dove era già molto ammirato. Una visita di qualche giorno tra kavarne, vinarne, birrerie praghesi in tutti i luoghi che a Praga richiamavano la cultura beat che a quei tempi era molto apprezzata e diversi erano i gruppi musicali che in ceco si chiamavano i bigbeat.

Ricorda Ginsberg: «Quella mattina ho partecipato alla parata del primo maggio e quel pomeriggio alcuni studenti mi hanno chiesto di essere il loro re. Ho accettato; mi hanno messo su uno dei carri della processione, su un camion vicino una banda Dixieland. La processione ha attraversato la città fino a una piazza principale, dove si erano radunate da 100.000 persone. Ho tenuto un discorso, dedicando la gloria della mia corona a Franz Kafka, che una volta viveva in quella piazza». L’antica usanza del Re di Maggio era stata da poco riabilitata e autorizzata (per molti anni era stata vietata) ma il regime non apprezzò per niente la proclamazione di un americano come Král dei Praghesi. Solo due giorni dopo il Re fu fermato per ubriachezza e il giorno dopo arrestato per condotta disordinata, ubriachezza, narcomania e propaganda dell’omosessualità. Pochi giorni dopo insieme ad un gruppo di studenti subì un’aggressione, era probabilmente una provocazione poliziesca e fu trattenuto fino alle cinque del mattino. Il suo taccuino era andato perduto, forse rubato, e il sei maggio continua a ricordare Ginsberg «Mi vennero a prendere in un ristorante, promettendomi la restituzione del taccuino se li avessi seguiti al commissariato. Laggiù qualcuno mi informò che a un esame superficiale il block-notes sembrava contenere scritti illegali, e che il libro sarebbe stato trattenuto per un ulteriore esame». A Ginsberg scortato al suo albergo, fu proibito di effettuare qualsiasi chiamata e quattro ore dopo fu imbarcato su un aereo per Londra. Così andavano le cose in quel periodo e ci si può immaginare gli stati d’animo magistralmente raccontati da Milan Kundera nello Scherzo, in Paure Totali di Bohumil Hrabal e anche da Philip Roth nell’ Orgia di Praga.

In ogni caso i diversi gruppi di comunità non solo musicali, di diversa estrazione sociale, intellettuali, artisti, scrittori e semplici cittadini non si facevano scoraggiare continuavano la loro vita di comunità, underground per modo di dire, e si riunivano in gruppi nelle case private, facevano feste, suonavano in locali improvvisati e all’aperto. Gli artisti esponevano in mostre non ufficiali. Insomma una vita piuttosto attiva di comunità di amici che volevano semplicemente vivere.

Quelle vite vissute pericolosamente: incontri
Di nuovo a Praga quest’anno, camminando dietro il teatro nazionale su via Ostrovni vedo un ragazzo appoggiato al muro con in mano un calice di vino rosso, lì a fianco una porticina socchiusa dove entro istintivamente. Era la Biblioteca Vaclav Havel che custodisce tutti i materiali della rivoluzione di velluto, dove quasi ogni giorno si tengono incontri e presentazioni tematiche di attualità politica e letteraria. Non in calendario si teneva un incontro per il compleanno degli 85 anni di Andrej Krob, regista teatrale e amico di Havel. Un pienone di persone che faceva bene al cuore vederli riuniti per quella occasione. Appena qualche giorno prima era scomparsa Dana Nemcová, figura di primo piano di Charta 77. Ricordando la famosa foto del 76 su Ponte Carlo mi dicono che l’autore di quella foto era proprio lì, il fotografo Ondrej Nemec, uno dei 7 figli di Dana Nemcová. Ho incontrato Ondrej Nemec per la seconda volta, a casa sua (abita proprio nello stesso palazzo dove abitava Václav Havel che stava all’ultimo piano, con vista sul castello presidenziale di Hradcany).

Ondrej Nemec

Ondrej che ora è responsabile dell’archivio della Biblioteca Vaclav Havel mi racconta di quando viveva con i genitori Dana e Jiri Nemec, filosofo e psicologo in una famiglia molto allargata dove si riunivano molti dissidenti e artisti intellettuali. Un gran movimento di persone, luci sempre accese fino a notte fonda che destavano i sospetti della polizia che controllava dalla strada. Dana Nemcová riuniva cattolici e artisti underground, collaborava con il comitato VONS per la difesa dalle ingiuste persecuzioni. Venivano scritti a macchina i Samizdat con i pezzi delle riviste Vokno (la finestra), Jednou Nohou (su una gamba) e più tardi Revolver Revue. Le copie erano ottenute con la carta carbone e naturalmente le ultime erano parecchio sbiadite.

«Della mia infanzia, dice Ondrej Nemec, ricordo che eravamo una famiglia cattolica modello (genitori attivi intellettuali), ma con l’inizio della normalizzazione i miei genitori sono diventati amici di artisti anticonformisti dell’underground e spesso si incontravano nel nostro grande appartamento. Musicisti, artisti di ogni genere, persone interessanti (alcuni hanno vissuto con noi per qualche tempo o almeno dormito a casa). A noi bambini piaceva molto, decine di persone ogni giorno, feste… Qualcuno era stato licenziato ma si dava da fare, suonava in un gruppo, dipingeva, scriveva o comunque creava qualcosa. Un paio di amici scattavano fotografie, a me quei capelloni sembravano molto fotogenici, e allora ho iniziato a fotografare anche io. A volte qualcuno veniva arrestato e la nostra casa perquisita. Eravamo sorvegliati, guardati e spiati, non era una cosa normale, ma faceva parte della vita. Ogni mese ci convocavano per degli interrogatori, io ho avuto il primo di otto ore dopo il funerale del Prof. Patocky all’età di diciassette anni. Non potevamo studiare, ma c’erano lezioni private e seminari, mio padre aveva una biblioteca enorme e leggevamo sempre, anche molti samizdat. Era, come lo chiamava Martin Jirous, «The Merry Ghetto».

Il processo ai Plastic People si è svolto nel settembre del 1976, credo per due giorni. In aula un processo breve per limitare la partecipazione del pubblico. Gli amici e i sostenitori erano nei corridoi del tribunale. In solidarità con i musicisti si sono alternate molte persone, anche perché i miei genitori, Václav Havel e altri avevano iniziato una azione di supporto agli imputati, con il sostegno, ad esempio, del prof. Jan Patocka, di Jaroslav Seifert, di Heinrich Böll e altri importanti scrittori, ma anche l’amicizia di persone variamente attive all’estero e dell’intero spettro dell’opposizione. Mio padre con Václav Havel pensavano che sarebbe stato un peccato non usare questa combinazione di diversi circoli di persone in precedenza piuttosto separati, adesso tutti riuniti per questo particolare caso di ingiustizia, erano scrittori, artisti, musicisti, ma anche cristiani e politici del 68… In tribunale ricordo Pavel Landovský, Jirí Hájek, František Kriegel».

Ancora per caso, alla mostra fotografica di Kvetoslav Pribyl, architetto e fotografo dell’occupazione russa del 68, incontro un’altra fotografa Zlatuše Müller, Aurelia di soprannome perché zlato in ceco vuol dire oro, che mi dice di andare a trovare Nadia Rovderová in via Perlova nella sua galleria Artinbox. Nadia è un vulcano pragmatico di idee che porta avanti allestendo da più di dieci anni una mostra dopo l’altra sui temi politici e di attualità, dal punto di vista dell’arte. Come «qualche anno fa una mostra di Yaroslav Gorbanevsky, figlio di Natalia Gorbanevsky, una degli otto coraggiosi che protestarono contro l’invasione russa nel 1968 sulla Piazza Rossa di Mosca». Amica di Dana Nemcová mi racconta del recente funerale di una delle fondatrici di Charta 77: «Mi ha ricordato la meravigliosa atmosfera della Rivoluzione di Velluto a Praga nel 1989. Un’incredibile concentrazione positiva di persone che la pensano allo stesso modo. Alcuni ex dissidenti sono venuti dall’estero per salutare questa leggenda, una donna coraggiosa, modesta, umile e saggia. Qui abbiamo anche concordato che il prossimo novembre commemoreremo l’anniversario della Rivoluzione di Velluto nella Artinbox Gallery con una mostra di artisti e fotografi provenienti dalle file del dissenso, completata da esibizioni di gruppi musicali e musicisti provenienti dai ranghi del dissenso… special guest Vratislav Brabenec dei Plastic People of the Universe».

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