Due ragazzi, una ragazza e un campo da tennis blu. Le regole del gioco di Challengers sono elencate nei quattro stacchi che aprono l’ultimo lavoro di Luca Guadagnino. E quell’ assertività, densa di un’energia palpabilmente fisica, accompagnerà tutto il film. Pleasurable (che dà piacere) è una delle parole più usate nelle recensioni già apparse in Usa (in Italia, Challengers esce oggi), generalmente entusiaste. L’altra è sexy, un aggettivo al quale si può associare pochissimo cinema americano contemporaneo.

COME in antidoto ai grandi spazi aperti e al romanticismo insanguinato del precedente Bones and All, Guadagnino concentra il nuovo film in luoghi ristretti (il campo di tennis, soprattutto; alcune camere e bar d’albergo; il dormitorio e la caffetteria di un college…), adottando un ritmo serrato che a tratti ricorda quello delle screwball anni trenta (e il fitto palleggio ginnico/erotico di commedie romantiche a sfondo sportivo come Pat and Mike, (Lui e lei) di George Cukor, scritto da Ruth Gordon e Garson Kanin, per il duo Katharine Hepburn/Spencer Tracy).

PARTE del gioco, in cui Guadagnino – abilmente supportato dal montaggio di Marco Costa e dalla fotografia di Sayombhu Mudkeeprom – decostruisce ogni regola di ripresa del tennis, è la struttura a incastro della sceneggiatura, firmata dell’esordiente Justin Kuritzkes, che salta avanti e indietro tra il 2019 e il 2006. Pur contenendo tutta quella ginnastica temporale, nell’arco di un’unica partita.
Patrick (Josh O’Connor) e Art (Mark Feist) si sono conosciuti all’Accademia di tennis, dodicenni, quando condividevano una stanza ed erano rispettivamente ribattezzati «Fire and Ice», il fuoco e il ghiaccio, per la loro dinamica sul campo. Secondo quella dinamica caratteriale, si innamorano della stessa ragazza, Tashi Duncan (Zendaya), un fenomeno della racchetta (è soprannominata Duncanator) che, flirtando un po’ con entrambi, e smascherando il flirt tra i due («non sono una sfasciafamiglie» dice loro al primo incontro), stabilisce immediatamente l’equilibrio di forze a tre che domina Challengers. Nessuno può veramente esistere (realizzarsi?) senza gli altri.

Tashi, apprendiamo, non è solo la migliore tennista del trio. È anche la più ambiziosa, forse perché viene da un background meno agiato di quello in cui sono cresciuti Art e Patrick. Invece di diventare subito professionista, ha deciso infatti di iscriversi all’università di Stanford e quindi – fino alla laurea – di limitarsi a competere nei circuiti universitari. Art segue lo stesso percorso, mentre Patrick – fedele alla sua indole- preferisce bruciare le tappe e diventare subito «pro». Come quello sportivo, il gioco dell’amore dei tre ha parecchi avanti e indietro. Guadagnino – complici i suoi attori e la loro splendida chemistry – si diverte intrecciando il linguaggio di corpi e quello delle personalità, sul campo e a letto. La tensione erotica e quella sportiva che confluiscono una nell’altra, nel beat pulsante della colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross.

Dopo essersi messa con Patrick e aver subito un incidente che mette fine alla sua carriera, Tashi sposa Art e ne diventa il manager, veicolando la sua competitività in quella meno aggressiva di lui, e facendone un campione ricco e di successo. Quando comincia a vederlo stanco, idea un percorso che potrebbe forse finalmente portarlo alla vittoria del Grande Slam, passando per un torneo minore, al quale però, inaspettatamente, si iscrive anche Patrick, ormai spompato e senza un soldo. I due amici sono di nuovo avversari, uno di fronte all’altro, la ragazza dei loro sogni in mezzo. Challengers finisce dove inizia, sul campo da tennis di La Rochelle, nell’unico modo possibile: rimanendo una partita a tre.