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Cesare Cavalleri, un amico sullo scaffale

Cesare Cavalleri, un amico sullo scaffale

Camera verde Per Cesare Cavalleri (13 novembre 1936 - 28 dicembre 2022), direttore delle Edizioni Ares per oltre cinquant'anni

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 gennaio 2023

Lo scorso 4 novembre Cesare Cavalleri (13 novembre 1936 – 28 dicembre 2022) è stato a cena da amici per l’ultima volta – iniziativa partita da me, e sùbito affidata alle capacità organizzative di ben più elegante anfitriona –, in un appartamento milanese nientemeno che nel quadrilatero della moda… Così che la serata si è rivelata un gran successo – «Cesare era raggiante» mi ha ribadito poi Alessandro Rivali –, una serata di cui vado fiero pur non avendo alcun merito (ma, come Amleto ammonisce Polonio: «A trattar gli uomini secondo il loro merito, chi sfuggirebbe allo scudiscio?»). E se qui ho la sfacciataggine anche di scriverlo è perché, nella dozzina di anni che ho frequentato Cesare, ogni volta che passavo a trovarlo nel suo lindo ufficio alla Ares, mi congedavo dall’incontro con la sensazione che quel qualcosa in me che si chiama «orgoglio» era stato gratuitamente – eppur meritatamente – confermato. Eccolo «l’effetto-Cavalleri» su di me, così come riesco a formularlo adesso, evitando forse scioccamente parole più impegnative, come bene o amore cristiano. Wikipedia e gli articoli commemorativi usciti nei giorni scorsi, non solo sulla stampa cattolica, quasi mi dispensano dal ricordare che Cavalleri, numerario dell’Opus Dei dal 1959, è stato per più di cinquant’anni direttore delle Edizioni Ares e del loro mensile «Studi Cattolici», e collaboratore di Avvenire fin dal primo numero (4 dicembre 1968).

E le due interviste che egli stesso ha rilasciato dal letto di morte (per non parlare della lettera del 23 novembre al direttore di Avvenire) dicono – oltre che della sua forza e fede – molto anche del suo stile (e, se proprio si vuole, del suo dandysmo). Qui posso perciò limitarmi a ringraziarlo, quasi a casaccio, di certe cose molto importanti per me (e forse meno per altri): la lunga fedeltà all’opera di Alessandro Spina, il maggior romanziere italiano del secondo Novecento; il libro-intervista Per vivere meglio (Els-La Scuola 2018), che sui miei scaffali sta accanto a un altro libro-intervista inestimabile, Il sentimento della realtà di Ermanno Olmi (Editrice San Raffaele 2008); il carteggio con Arrigo Cavallina, fondatore dei PAC, i Proletari armati comunisti, divenuto un libro davvero unico (Il terrorista e il professore. Lettere dagli Anni di piombo & oltre, Edizioni Ares 2021); la stupenda traduzione ritmica del Libro della Passione di José Miguel Ibáñez Langlois (Ares 2011; in allegato un cd con brani letti magnificamente dallo stesso Cavalleri); il pudore, che gli ha impedito di scrivere più di una manciata di poesie originali (e queste solo in gioventù), non si è frapposto quando gli amici hanno voluto raccoglierle in un libriccino, Sintomi di un contesto (Mimesis 2019, con bella quarta di Bruno Nacci), che non si vorrebbe una pagina più lungo, ma neanche una più breve; e poi l’instancabile, implacabile attività di recensore… Quanta narrativa, quanta poesia italiana ha letto per noi Cesare in questo mezzo secolo! Il suo Letture 1967-1997 (Ares) conta 624 pagine stampate fitte su doppia colonna, e tra un paio di mesi uscirà finalmente l’edizione aggiornata, Letture 1967-2020, che – vedo su Amazon – di pagine ne avrà 900: ditemi che anche queste sono su doppia colonna!

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