Il Consiglio direttivo del Cern, l’organizzazione europea per la ricerca nucleare, ha comunicato che il progetto Fcc andrà avanti. La sigla sta per «Future Circular Collider» e si tratta di un’idea piuttosto pazzesca. Il Cern infatti vuole costruire nei dintorni di Ginevra un nuovo acceleratore di particelle lungo oltre 90 km a 2-300 metri di profondità. Sarà un tunnel in cui viaggeranno particelle a velocità prossime a quella della luce, raffreddate da tubi di elio quasi allo zero assoluto e spinte dai magneti più potenti del mondo. Oltre al tunnel, gli hangar sotterranei di Fcc ospiteranno i giganteschi strumenti con cui i fisici studieranno le collisioni.

Un acceleratore serve a far scontrare particelle a velocità elevatissime: lo scambio di energia, in base alla celebre formula E = mc2, dà vita a nuove particelle. Dalle probabilità di queste reazioni i fisici risalgono alle forze che governano la realtà e ai suoi componenti ultimi. Il nuovo acceleratore produrrà bosoni di Higgs – l’ultima particella fondamentale scoperta al Cern – da studiare in dettaglio per rivelarne gli aspetti ancora oscuri.

Fcc dovrà passare sotto le case e le strade dei sobborghi ginevrini, scendendo anche al di sotto di un lago grande come il Lemano. Un tunnel così lungo però non è mai stato costruito e l’impresa è ciclopica. Secondo le stime attuali costerà una quindicina di miliardi di euro. Ne serviranno poi altrettanti per finanziare la seconda vita di Fcc. Dopo una prima fase in cui nel tunnel volteggeranno elettroni e positroni, a partire dal 2045 il Cern installerà magneti ancora più potenti per far scontrare i più pesanti protoni. Se approvato, il progetto darà lavoro ai fisici fino alla fine del secolo XXI e manterrà saldamente in Europa il baricentro della fisica fondamentale di frontiera.

Da un lato, verrebbe voglia di proteggere come un panda una comunità scientifica così interessata alla conoscenza pura da pianificare esperimenti di qui a settant’anni. In un mondo abituato a passare da una crisi globale all’altra, i fisici delle alte energie ragionano già su ciò che faranno gli allievi dei loro allievi, incuranti degli imprevisti che potrebbero colpire (e capiteranno) un progetto così ambizioso. Dall’altro, la scelta di puntare tutto su Fcc crea diffidenze anche in una parte della comunità stessa, che qualche legittima obiezione la pone. Ci sono indizi che collisioni più energetiche conducano a nuove scoperte? La stessa direttrice del Cern ha ammesso che Fcc non ha un obiettivo chiaro. Gli acceleratori sempre più grandi sono l’unico modo di esplorare le alte energie? Alcuni scienziati ritengono che ci siano alternative più economiche. E poi anche la Cina si è detta disposta a costruire un suo Fcc a costi nettamente inferiori (ma senza l’esperienza del Cern). Le ricadute tecnologiche ripagheranno l’investimento? Stabilirlo in anticipo è impossibile. Ci sono problemi più impellenti su cui far lavorare la Big Science? Forse sì, se si pensa alla crisi climatica.

Negli anni ‘90, gli Usa aveva progettato un’analoga infrastruttura, il Superconducting Super Collider da 87 km da realizzare in Texas, un’impresa da dodici miliardi di dollari. Ma dopo pochi chilometri di scavo e l’ennesimo rialzo dei preventivi, nel ’93 il Congresso decise di fermare il progetto in mancanza di Paesi disposti a condividere lo sforzo economico. Ora tocca agli scienziati europei convincere colleghi e governi che valga la pena mandare le talpe meccaniche sotto il lago di Ginevra. Il curriculum scientifico ce l’hanno. Ma per mettere d’accordo tutti potrebbe non bastare.