Di episodi ce ne sono molti. Ma forse il più utile per misurare la «conversione» di questi giorni del senatore Luigi Zanda risale al novembre del 2010. Erano i giorni in cui un gruppo di parlamentari del Pdl vicini a Gianfranco Fini si preparavano a votare contro il governo di Silvio Berlusconi. Berlusconi naturalmente non ci stava. «I parlamentari eletti nel centrodestra – diceva l’allora Cavaliere – saranno costretti a sostenerci con i loro voti sino al completamento della legislatura, chi non lo farà si assumerà la responsabilità di aver tradito gli elettori». Insomma: valgono i voti e niente altro, come dice oggi Renzi. Allora a rispondergli era Zanda, oggi in veste di custode della linea del partito al punto da sostituire il «dissidente Mineo dalla commissione affari costituzionali (al suo posto ci andrà direttamente lui, Zanda, che non vuole correre rischi). «Quelle di Berlusconi sono parole gravi – spiegava allora in veste di vicecapogruppo dei senatori -, dal punto di vista costituzionale nel nostro ordinamento i parlamentari non hanno vincolo di mandato. L’unico vincolo per un parlamentare è il bene della Repubblica». Valeva per Berlusconi, non vale per Renzi. Di cui Zanda, parlamentare di lungo corso, in politica dai tempi in cui affiancava Francesco Cossiga, è diventato grande estimatore nonché sostenitore nell’opera di rinnovamento.