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C’era una volta l’indie

C’era una volta l’indieI Csi – foto di Claudio Martinez

Pagine/Un libro ripercorre le vicende di un disco e di un intero movimento «CSI. È stato un tempo il mondo» rievoca l’esordio della band post CCCP e il legame con una scena in grande fermento negli anni ’90

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 10 agosto 2024

Sul finire degli anni Ottanta il rock italiano indipendente era un panorama complesso popolato da volenterosi discepoli delle controculture, militanti duri e puri, imitatori velleitari e dilettanti allo sbaraglio. Nel mondo del mainstream gli artisti più affini al verbo rock che ai tempi erano davvero popolari erano Zucchero, Vasco Rossi, Bennato e, a modo suo, Battiato. Le due realtà erano però così distanti da rappresentare universi completamente distinti e non comunicanti tra loro. Era un mondo diviso in blocchi e ideologie e questo riguardava anche la musica. Con la fine della guerra fredda, tuttavia, vennero un po’ meno il manicheismo e il massimalismo nell’ambito culturale e anche le frontiere artistiche divennero più permeabili, creando nuovi spazi e nuovo interesse per quello che qualche anno prima sarebbe stato relegato alla marginalità. La parabola dei CCCP-Fedeli alla linea, poi trasfiguratisi nei CSI-Consorzio Suonatori Indipendenti, è assolutamente emblematica.

CELEBRANDO LENIN
Nati nel 1982 per iniziativa del cantante Giovanni Lindo Ferretti e del chitarrista Massimo Zamboni, sbocciavano nel cuore dell’Emilia che celebrava Lenin, influenzati dal punk radicale e dalle atmosfere berlinesi già care a Bowie e Lou Reed. Divennero una voce prepotente, scandalosa e situazionista nel mondo underground italiano. In uno speciale Tg1 datato 1986 la band rappresentata da Ferretti e dalla «soubrette» Annarella Giudici, debuttava in Rai accolta come qualcosa tra il pittoresco e l’insidioso in un segmento dedicato al «rock sovietico». Ferretti appariva forbito e determinato e non faceva certo la figura del teppista da bassifondi come Johnny Rotten una decade prima al Bill Grundy Show della Bbc. «Non ci sono gruppi filosovietici – spiegava Ferretti allo stralunato ma divertito Alberto La Volpe -, non vogliamo fare scuola, siamo convinti di fare musica moderna. È una strana mediazione tra la coscienza individuale di chi propone la musica e la collettività in genere. Ci portiamo dietro anche i residui di ideologie o le ideologie che abbiamo».
Dieci anni dopo i CCCP erano scomparsi così come il blocco che ispirava la loro visione artistica, dando origine ai CSI e ritrovandosi catapultati nel mainstream, non più oggetti misteriosi, ma nomi capofila di un movimento di rinascita musicale del rock italiano. Che cosa era successo? Erano sì cambiati loro, ma anche in Italia i tempi erano cambiati. Questo passaggio epocale è raccontato nel libro di Donato Zoppo CSI. È stato un tempo il mondo (Compagnia Editoriale Aliberti con prefazione di Federico Guglielmi) che rievoca la genesi di Ko de mondo, primo album in studio del Consorzio Suonatori Indipendenti.
Zoppo è un attento narratore della storia musicale italiana e ha all’attivo opere su Battisti, Area e Baglioni, ma ha anche firmato numerose pubblicazioni dedicate al rock internazionale. Il suo racconto si basa sulle testimonianze dei protagonisti che rievocano come quell’album nacque in circostanze, storiche e geografiche, particolarissime. La premessa era stata proprio la fine di un’era e la conclusione dell’esperienza dei CCCP. «CCCP e CSI sono due storie legate – ha raccontato all’autore Giovanni Lindo Ferretti -. La fine dei primi coincise con l’inizio dei secondi (…) I CCCP non esistevano più dal concerto a Mosca, o forse da Sanremo Rock. Ci stavamo volutamente autodistruggendo, stavamo finendo e non avevamo più idee ben definite. Tutto era confuso. Prima di arrivare a Sanremo ci siamo fatti dieci o quindici televisioni, roba da ucciderci. Abbiamo toccato il fondo per disgustarci di tutto e di più. In realtà avremmo voluto andare a suonare al festival della Dc e invece ci mandarono a Sanremo… Era difficile chiudere una storia come la nostra, l’ultimo anno facemmo l’impossibile per portarla a termine».

CUPIO DISSOLVI
I «fedeli alla linea» furono vittima di un cupio dissolvi che puntava a inquinare la loro «ortodossia» con quanto di più opposto esistesse all’epoca. Sbarcarono per un tour in un’Unione Sovietica ormai agonizzante (lo racconta il bellissimo documentario Kissing Gorbaciov vedi Alias del 27/1/2024) e, proprio come l’impero sovietico, cercarono di re-immaginarsi. L’Urss divenne la fragile Comunità di Stati Indipendenti, Lindo Ferretti e Zamboni fondarono il Consorzio Suonatori Indipendenti con Gianni Maroccolo, fuoriuscito dai Litfiba, Giorgio Canali, Francesco Magnelli, Pino Gulli, Ginevra Di Marco e Alessandro Gerbi. Ko de mondo nacque nell’estate del ’93 in un ritiro artistico in Bretagna, dipartimento di Finistère «un imbuto al contrario lambito dall’Atlantico». L’album venne diffuso dalla major Polygram attraverso il marchio Black Out, una sussidiaria destinata al nuovo rock italiano.
Il libro di Donato Zoppo è indispensabile per ripercorrere non solo le vicende legate a quel singolo disco, ma un movimento che ha una grande storia e, forse, ancora troppa poca memoria. A Ko de mondo faranno seguito Linea Gotica e Tabula rasa elettrificata, dischi che porteranno i CSI ai vertici delle classifiche di vendita. Un nuovo movimento occupava l’area che prima era presidiata solo da mostri sacri del cantautorato o da pop commerciale. Qualcuno, inevitabilmente, gridò al tradimento, ma i tempi erano maturi e necessari per inaugurare un nuovo modo di interpretare il rapporto tra arte e pubblico.
I Litfiba, eroi della new wave italiana underground, persero Gianni Maroccolo, approdarono alla Cgd, resero il loro sound più radiofonico riuscendo con El Diablo del 1990 a vendere quasi mezzo milione di dischi. I loro primi rivali furono i bresciani Timoria, i cui primi due album furono prodotti dallo stesso Maroccolo e che nel 1993 con Viaggio senza vento raggiunsero il disco d’oro. Intanto i Gang, bollati allora come i Clash italiani, mutavano pelle e trovavano un nuovo corso e una chiara voce politica con Le radici e le ali. L’esperienza dei CSI divenne anche lo stimolo per la nascita del marchio Consorzio Produttori Indipendenti che produsse, sempre con la regia di Maroccolo, gli esordi Catartica dei Marlene Kuntz e La diserzione degli animali del circo degli Yo Yo Mundi. Una delle eminenze grigie di questo nuovo corso del rock nostrano fu il discografico Stefano Senardi, presidente della Polygram che ha raccontato a Zoppo: «(Era) un periodo di incredibile vitalità. Dirigevo un team di centoventi persone e facemmo tanti contratti, da quello con la Mescal (fondata come management nel ‘93 da Luciano Ligabue e Valerio Soave e poi diventata etichetta, ndr) per Afterhours e Marlene Kuntz, poi Negrita, Modena City Ramblers, Ritmo Tribale, Casino Royale, Africa Unite… La Black Out agiva all’interno di un sistema major, ma ce ne fregavamo delle critiche più radicali (…) con gli artisti si discuteva tanto, sempre nel rispetto della loro indipendenza».

UNA SFIDA
La libertà artistica verrà premiata anche dai risultati del mercato. Da non dimenticare in quegli anni i debutti dei torinesi Mau Mau e Subsonica, dei livornesi Virginiana Miller e dei trevigiani Estra, il pop punk dei Prozac+, le riletture new wave dei Bluvertigo, il dub partenopeo degli Almamegretta e un nuovo approccio alla canzone d’autore con Massimo Volume, Vinicio Capossela, La Crus, Carmen Consoli, Cristina Donà, Marco Parente.
Oggi il termine «indie» è sciaguratamente abusato quando si parla di musica italiana. Ma lo spirito «indie», l’indipendenza, è la libertà di riuscire a creare un prodotto artistico non tradendo la propria ispirazione e sperando che trovi un pubblico pronto a recepirla. Prima di essere un appellativo buono per qualsiasi cosa, fu una sfida e una conquista. Trent’anni fa quella sfida fu vinta con coraggio da una generazione di musicisti che aveva colto lo spirito dei tempi.

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