Cultura

«C’era nello sguardo di quest’uomo una cosa che forse era tutta la tragedia d’Italia…»

«C’era nello sguardo di quest’uomo una cosa che forse era tutta la tragedia d’Italia…»Un disegno di Aldo Gay (1914-2004), pittore ebreo romano che scampò alla retata del 16 ottobre nella capitale potendo così raccontare attraverso le sue opere quanto era accaduto quel tragico giorno

Nell'80° anniversario del rastrellamento nazista del ghetto di Roma, il testo di alcune registrazioni conservate nell’archivio sonoro del Circolo Gianni Bosio «Nel tragitto dal portone ai camion, la bambina stava attaccata al padre: lui gli ha dato uno strattone e l’ha mandata via da sé, fissando sempre una donna che non si poteva avvicinare»

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 14 ottobre 2023

Giulia Spizzichino. Papà sempre con il suo intuito, dopo che aveva dato l’oro ai nazisti, ha preso, di corsa è venuto a casa, ha preparato le valigie e ci ha portati via. Infatti tutti dicevano, che esagerato, quelli vogliono soltanto l’oro. Disse no, no; questi ‘n vonno soltanto l’oro, questi dopo vengono veramente a prenderci. Ci avevano promesso che ce lasciavano tranquilli – se so’ presi prima l’oro ‘st’infamoni zozzi trucidi, e poi dopo hanno preso lo stesso gli ebrei.

Piero Terracina. Era stato detto che se non avessimo pagato, 200 capifamiglia sarebbero stati deportati. Pensavamo che la parola d’un ufficiale tedesco contasse ancora qualche cosa. Invece, pochi giorni dopo, esattamente il 16 ottobre quello che purtroppo è accaduto, cioè la prima grande razzia.

Lello Di Segni. La notte del 16 ottobre che sono stato preso, no? La notte antecedente, diciamo, per essere esatti, ci sono stati giù nel ghetto dei boati, delle bombe, dei mitragliamenti, tant’è vero che in quella casa dove io ho abitato c’erano le persiane che erano contrassegnate da colpi di mitragliatrice. Qualcosa, no? Per impaurire la gente, così rimaneva nelle case. Serviva per questo. La mattina, all’alba, appena fatto giorno, avevano già i nominativi in mano e io e la mia famiglia siamo stati presi.

Settimia Spizzichino. Però quella notte c’era un silenzio, sto’ silenzio poi fatto di scarponi avanti e indietro. Sentiamo i primi rumori, ci mettiamo a guardare e vediamo gli ebrei portati via dai portoni vicino. Allora noi avevamo una casa. Era grandissima ’sta casa, erano quattro stanze, enormi, una bellissima casa era. E c’erano due stanze una dentro l’altra. Nascondiamoci dentro la stanza, l’ultima e lasciamo tutto aperto in maniera che se entrano vedono… Mia sorella, invece, quella più piccola, chissà che cosa le disse il cervello, scappò. Scendeva dal portone pe’ scappa’ da casa, lei scendeva e i tedeschi salivano. Lei se li è visti davanti, è tornata indietro, ci ha fatto prendere a tutti.

Vera Simoni. A un certo momento, i tedeschi hanno circondato un palazzo e hanno fatto scendere tutti gli ebrei. Allora è sceso un uomo che aveva vicino una bambina e c’è stato uno sguardo fra questo uomo e una donna nel tratto dal portone al camion… Al camion dei tedeschi dove li portavano via e poi finivano nelle camere a gas. In quel tragitto mentre questa bambina – era la figlia – stava attaccata al padre, lui gli ha dato uno strattone e l’ha mandata via da sé, guardando sempre questa donna, che però non si poteva ancora avvicinare e allora la bambina è ritornata dal padre e c’era nello sguardo di quest’uomo una cosa che forse era tutta la tragedia d’Italia, era … Finché, alla fine, proprio in quei pochi passi, ha dato un altro strattone alla bambina, veramente quasi da farla cadere per allontanarla da sé.

Piero Terracina. Così noi praticamente siamo andati avanti fino al mese di aprile, quando il 7 aprile fummo arrestati. Ci trovarono tutti insieme perché era il primo giorno della Pasqua ebraica. Mio padre ci venne a cercare, disse, be’ vediamo questa sera di passarla tutti quanti insieme e così quella sera ci trovarono uniti. Quindi, è stata una spiata. Quando vennero a prenderci, insieme alle Ss c’erano due fascisti. Allora, il compenso che davano i nazisti era di cinquemila lire per ogni ebreo che veniva fatto deportare.

Settima Spizzichino. Dopo che erano entrati i tedeschi in casa, a cento / duecento metri dal Portico di Ottavia c’erano i camion, ma nessuno ci diceva mai dove andavamo. Il perché, dove… niente. Il camion è partito, per il Lungotevere, io quando ho visto che girava a Regina Coeli mi so’ messa a piange’, ho avuto paura, ma perché ci portano in prigione? E mamma mia dice ma no, ma che vòi che ci fanno, mica ci ammazzeranno… Invece, poi, dopo Regina Coeli, a 20 metri di distanza c’era ‘sto Collegio militare. Siamo stati due giorni là, tu ti puoi immaginare quello che succedeva in quei giorni perché eravamo 1090 persone e stavamo seduti sui banchi di scuola, di legno, quelli vecchi, tutti seduti là. Con i bambini che piangevano, senza mangiare, il bagno intasato, cominciarono i primi disagi, i primi disastri, insomma.

Lello Di Segni. Dopo un periodo di tempo, l’ interprete che ci riferiva sempre tutto quello che gli dicevano i tedeschi quando lo chiamavano, una sera ci disse di prepararci che entro due, tre giorni dovevamo andare, ci avrebbero trasportato in un campo tedesco… Invece non è stato così, ci hanno portato al campo di Auschwitz. E ci hanno trasportati in un carro bestiame, no? Vagoni come carri bestiame. Noi li chiamavamo così perché ci portavano le bestie lì, noi eravamo come quelle. Non ci hanno mai aperto; ossia noi facevamo i nostri bisogni là dentro, avevamo mia nonna che stava poco bene, doveva fa’ le cose dentro. Ci siamo arrangiati, io poi veramente, avevo sedici anni…

Settimia Spizzichino. Ma come, come siamo sopravvissuti a ‘sti otto giorni, sei, de viaggio? Mia madre che continuava a dire, che vòi che ci fanno? Mica ci ammazzeranno. È stata l’ultima cosa, siamo arrivati a Auschwitz, ancora diceva che vòi che ci fanno, mica ci ammazzano. Questo. E poi invece ci hanno pure ammazzato.

Piero Terracina. Ricordo, di mio padre, l’ingresso a Regina Coeli. Eravamo schierati faccia al muro davanti all’ufficio matricola in attesa di essere registrati per l’ingresso, sorvegliati da una Ss. Mio padre sentì il bisogno di dirci qualche parola. «Ragazzi» – aveva avuto la percezione, dell’abisso che si stava spalancando, su questo non c’è dubbio – e mi ricordo le testuali parole, parole che poi non si dimenticano. E disse: «Ragazzi può accadere qualsiasi cosa – oh, prima ci chiese perdono, di che cosa non so. Forse per non averci difeso, forse perché aveva promosso quella riunione quella sera, non lo so. E disse può accadere qualsiasi cosa, una cosa però ci ho una raccomandazione da farvi: non perdete mai la dignità. E purtroppo quella… poi… mantenere la dignità di esseri umani non fu possibile.

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