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Centro sperimentale, la destra brucia le tappe e tenta il colpo di mano

Centro sperimentale, la destra brucia le tappe e tenta il colpo di manoUno striscione apparso sulla facciata del Csc

Cinema Un emendamento nel dl Giubileo cambierebbe l’assetto della fondazione, si diffonde la protesta tra gli studenti. Nascosto in un decreto-minestrone, l’art. 12 bis impone un rapido cambio dei vertici

Pubblicato circa un anno faEdizione del 21 luglio 2023

Si sperava forse nello spleen estivo, nella disattenzione e nelle amnesie dovute alle alte temperature. Non è invece passato inosservato l’emendamento proposto dai deputati leghisti Igor Iezzi, Simona Bordonali, Laura Ravetto e Alberto Stefani lo scorso 11 luglio in merito al dl Giubileo. Certo ci voleva una certa attenzione, perché le «Disposizioni urgenti in materia di organizzazione delle pubbliche amministrazioni, di agricoltura, di sport, di lavoro e per l’organizzazione del Giubileo della Chiesa cattolica per l’anno 2025» farebbero pensare a tutto tranne che a un intervento sull’assetto del Centro sperimentale di cinematografia (Csc).

NEL DECRETO, in effetti, c’è di tutto. Lavori socialmente utili, piano oncologico nazionale, Croce Rossa, università, infrastrutture stradali. L’articolo 12 poi parla di cultura. E a leggere il primo testo del 22 giugno si potrebbe rimanere piacevolmente sorpresi: «Il Ministero della cultura è autorizzato ad assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, un contingente pari a cento unità di personale non dirigenziale». Una buona notizia. Ma qui entrano in scena i quattro deputati della Lega, con l’articolo 12 bis, che si propone di emendare il decreto legge n. 426 del 18 novembre del 1997 con cui il Centro sperimentale, che include al suo interno sia la Scuola nazionale di cinema che la Cineteca nazionale, venne trasformato in fondazione, stabilendone per l’ultima volta la struttura.
Nell’assetto proposto dall’emendamento verrebbe cancellata la carica di direttore generale, al suo posto un comitato scientifico – già esistente ma, attualmente, è un’attività svolta a titolo gratuito mentre diverrebbe remunerata – con tre membri scelti dal Ministero della Cultura, due da quello dell’Istruzione e del merito, uno dall’Economia.
Nella protesta che sta giustamente montando da più parti, tra cui gli studenti della Scuola nazionale che, nonostante i corsi siano finiti, si stanno riunendo in assemblea, si fa spesso riferimento a una presunta «autonomia» del Csc che verrebbe infranta. Bisogna dire però che, per statuto, anche nella conformazione attuale il Centro è direttamente legato alla politica: il presidente – che oggi nomina il direttore generale – è infatti scelto dal Ministro della Cultura. Marta Donzelli, attuale presidente, è stata designata da Dario Franceschini.
La questione è che in questo gioco delle poltrone la maggioranza non vuole rispettare i tempi, e la sta facendo sporca. Perché sempre nell’emendamento si legge che «alla costituzione del Consiglio di amministrazione della Fondazione e del Comitato scientifico si provvede entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione». Ciò significa che Donzelli e tutto il gruppo dirigente sarebbero esautorati dalle cariche immediatamente, con due anni di anticipo rispetto alla scadenza del mandato nel 2025. Salvo naturalmente colpi di scena alla Camera, dove il testo è in corso di esame in commissione.

IL CSC nella sua storia ha avuto presidenti di grande prestigio, su tutti Roberto Rossellini, che volle l’aggettivo «sperimentale» nel nome. In questo momento nessun riguardo si sta avendo per chi copre quella posizione – bene o male, le valutazioni andrebbero comunque fatte alla fine del mandato. Ma la fretta di cambiare volto alla produzione e diffusione culturale del Paese fa passare in secondo piano qualsiasi valutazione nel merito del lavoro, per non parlare poi del rispetto, questo sconosciuto.

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