Messo di fronte alle proteste degli studenti contro il caro-affitti, qualche giorno fa un politico retequattrista ha nominato con una certa spocchia il quartiere romano di Centocelle come metafora della periferia alla quale i ragazzi sono destinati, luogo di sacrifici contrapposto al centro storico e alle zone di pregio riservate solo a chi se le può permettente. Il modo stesso in cui evocava quel toponimo faceva intendere che non aveva idea di cosa stesse parlando. Del resto, le narrazioni servono anche ad addomesticare le anomalie e a costruire mappe della disuguaglianza: «Se ne vadano a Centocelle, invece di rompere le scatole». Quel personaggio con tutta evidenza non sapeva che gli studenti a Centocelle ci sono già, e da sempre. Coabitano con una composizione sociale e politica plurale e meticcia spesso allergica ai soprusi. Questa tigna, il quartiere la eredita dalle prime lotte della manovalanza dell’indotto della ferrovia e dell’aeroporto delle origini, frutto dello stratificarsi di migrazioni interne e arrivi via via più recenti.

A DIFFERENZA del politico reazionario di turno, gli autori del volume collettivo Centocelle. Racconti di un quartiere che resiste (DeriveApprodi, pp. 306, euro 15) compiono l’operazione inversa: raccolgono le storie del quartiere Medaglia d’oro della Resistenza che giusto due anni fa ha compiuto il suo primo secolo di esistenza ufficiale, per restituirne la complessità sociale e la densità vitale. Solo in questo modo scopriamo che Centocelle è da sempre un’area di Roma a sé stante, con la toponomastica caratterizzata dalle vie di fiori e alberi, e al tempo stesso un nodo fondamentale della vita della capitale.

A Centocelle, raccontano le tante voci che si incrociano nel volume, negli anni ’70 esisteva una proliferazione impressionante di sedi politiche. Fin da subito, negli anni ’80, qui cominciarono a cercare vie di fuga dal tritacarne del riflusso e della grande repressione, ad esempio con il giornale di strada Vuoto a perdere, che mescolò i linguaggi delle sottoculture punk e skin a quelli dei movimenti. In questo melting pot si condensò il primo nucleo che dal 1986 diede vita al Forte Prenestino, il centro sociale più grande di Roma e di certo il più bello d’Europa.

Nelle pagine di questa antologia di storie orali e racconti sociali si susseguono pezzi di immaginario e tratti di vita materiale: lo slapstick tragicoatto di Amore tossico, il pratone delle partite a calcio di Pasolini e la chiesa di Accattone, i disegni ipnotici e sognanti di Croma, le rime che tracciano architetture di Militant A e degli Assalti frontali, le parole dei baristi che più di ogni altro tengono il polso delle trasformazioni del territorio e dei suoi abitanti.

BISOGNA SFUGGIRE alla tentazione, e le tante testimonianze di questo volume ci riescono, di evocare una sorta di orgoglio di periferia. La vita multiforme di Centocelle, e i modi in cui si riallaccia spesso facendo da avanguardia a quella più vasta della città intera, testimoniano il suo essere centrale, ribaltano le geografie date. Lo sanno bene gli avvoltoi della rendita e del capitalismo estrattivo, lo certificano le minacce di gentrification che sono arrivate nel quartiere insieme alla Linea C della Metropolitana. Ma è anche grazie ad operazioni culturali e politiche come quella di questo volume, che Centocelle troverà per l’ennesima volta il modo di resistere.

Nei prossimi giorni il libro verrà presentato a Roma in due occasioni: domani alle 18.30 allo Yeti (al Pigneto, all’angolo tra via Pesaro e via Perugia), con Massimo Ilardi, Alessandro Santagata, Francesca Iovino e Silvia Susanna e il Ponentino Trio e domenica alle 16.30 a Interzona (Laboratorio sociale autogestito 100celle, viale della Primavera 319/b).