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«Cento migranti annegati». Nuovo naufragio in Libia

«Cento migranti annegati». Nuovo naufragio in Libia

Mediterraneo La Guardia costiera libica interviene in soccorso di tre gommoni In 300 riportati a Tripoli, tra i sopravvissuti 17 bambini

Pubblicato quasi 7 anni faEdizione del 11 gennaio 2018

Sarebbero almeno cento i migranti dispersi nell’ultimo naufragio avvenuto martedì mattina al largo delle coste libiche. A renderlo noto è stata la Guardia costiera del Paese nordafricano che ha anche aggiunto di aver recuperato in acqua e riportato indietro altre 300 persone in tre diverse operazioni di soccorso.

Si tratta della seconda tragedia che avviene nelle acque territoriali libiche in pochi giorni, a dimostrazione di come le partenze di barconi carichi di disperati decisi a raggiungere l’Europa in realtà non si siano mai fermate. Il giorno dell’Epifania un gommone era affondato a circa quaranta miglia a nord dalle coste di Tripoli provocando 64 morti mentre con il naufragio di martedì , secondo i dati forniti ieri dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni, sale a quasi 200 il numero dei migranti o dei profughi morti dall’inizio dell’anno in una sola settimana. 800 sono invece quelli salvati. «Le notizie di questa settimana – ha commentato l’Oim – suggeriscono che l’inizio del 2018 possa essere ancora più micidiale» del gennaio 2017, quando in tutto il mese le vittime furono 254.

Il più grave dei naufragi di martedì è avvenuto a largo della città di Homs, a est della capitale libica. Erano circa le dieci del mattino quando una motovedetta della Guardia costiera ha raggiunto il gommone semi affondato ai bordi del quale erano aggrappati 16 migranti. «Il fondo dell’imbarcazione era completamente sfondato e i sopravvissuti sono rimasti aggrappati alla parte gonfiabile fino all’arrivo della motovedetta Sabrata» ha spiegato in una nota il comandante della Guardia costiera libica, Nasr al Qamoud. Stando alle testimonianze dei sopravvissuti al momento della partenza a bordo dell’imbarcazione ci sarebbero state 70 persone, numero che però contrasta con quanto dichiarato dalla Marina libica secondo la quale i dispersi sarebbero almeno «90, 100». «Abbiamo messo in salvo 16 migranti, il resto delle persone che si trovavano a bordo sfortunatamente non c’era più e non abbiamo trovato né superstiti né cadaveri», ha proseguito al Qamoud.

Poco dopo altre due richieste di soccorso sono arrivate sempre alla Guardia costiera libica, questa volta provenienti da due gommoni in difficoltà a largo della città di Zawiya, 50 chilometri a ovest di Tripoli. Qui sono stati tratti in salvo 267 migranti, tra i quali diverse donne e almeno 17 bambini. Sempre secondo l’Oim, invece, i migranti sopravvissuti sono originari di diversi Paesi africani tra i quali Gambia, Senegal, Sudan, Mali e Nigeria, più otto provenienti dal Bangladesh, tra i quali una donna, e due dal Pakistan.

Il naufragio è stato l’occasione per la Marina libica per polemizzare ancora una volta con la comunità internazionale e le Ong, accusate di creare «il sogno di un’Europa accogliente» alimentando così «la tratta degli schiavi». Segno evidente che la Marina di Tripoli non conosce, o fa finta di non conoscere le politiche messe in atto dall’Ue proprio per fermare i migranti nei Paesi di origine. Non è escluso invece che dietro l’intensificarsi delle partenze ci sia la situazione sempre più instabile del Paese nordafricano, come dimostrano le affermazioni fatte ieri dal generale Khalifa Haftar, avversario del premier Fayez al Serraj. «La Libia non è ancora pronta per la democrazia» ha detto il generale che controlla la Cirenaica, aggiungendo che qualora le elezioni in programma entro l’anno non riuscissero a superare l’attuale stallo, «allora le nostre forze prenderanno il controllo di tutto il Paese».

«Temiamo un’ecatombe», ha commentato ieri il Centro Astalli alla notizia del nuovo dramma nel Mediterraneo.«Assistiamo attoniti all’ennesimo oltraggio alla vita, un doppio oltraggio: per le condizioni disumane cui uomini e donne sono costretti a morire e per un’indifferenza sempre più dilagante da parte di istituzionali nazionali e sovranazionali e, purtroppo, anche della società civile».

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