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Cent’anni dopo a Trento la guerra non è finita

Cent’anni dopo a Trento la guerra non è finitaI primi alpini arrivati a Trento per il 91esimo raduno annuale – Foto Ansa

Raduno delle Penne Nere In tutto il Tirolo l’adunata dei 600 mila alpini fa riaffiorare le divisioni italiani-tedeschi nate con il primo conflitto mondiale. Anche la componente ladina e molti italiani protestano per la scelta del Tirolo

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 12 maggio 2018

Sono circa 600mila gli alpini che da ieri e fino a domani stanno invadendo le strade di Trento per l’adunata nazionale. Se nelle precedenti occasioni il raduno era visto con una certa simpatia dal mondo politico e non, quest’anno l’infelice scelta che ha portato le penne nere a Trento proprio a cent’anni dalla fine del conflitto che ha sancito l’annessione del Tirolo all’Italia ha scatenato, come era prevedibile, una ridda di controversie.

«CORVI CONTRO FAGIANI», ironizza Peter Mutschlechner, riferendosi dalle piume che ornano i cappelli degli alpini e degli schutzen, la più importante associazione a carattere culturale e politico del Tirolo. Lui, che ha conosciuto Alexander Langer, ne ha subito il fascino e rimane convinto che proprio le differenze etniche presenti in Tirolo possono essere la chiave per ricostruire una comunità aperta e libera. «Ma la scelta di Trento per l’adunata di un corpo militare che in Sud Tirolo aveva le sue basi operative e non si è fatto benvolere dalla popolazione locale, non aiuta certo la comprensione» ammette.

A CRITICARE LA DECISIONE presa dall’Associazione Nazionale Alpini non sono solo i sudtirolesi, ma anche molte associazioni trentine. «Si poteva benissimo evitare di gettare benzina sul fuoco» spiega Fabio Chiocchetti, direttore del Museo Ladin de Fascia nonché uno dei massimi esponenti della comunità ladina fassana, il quale continua dicendo che «l’adunata degli alpini rischia di esaltare una vittoria che sappiamo benissimo dalla storia quali miti e quale prezzo ha imposto al popolo tirolese».

PER CERCARE DI RECUPERARE il senso umano delle celebrazioni, l’Istituto Culturale Ladino, in collaborazione con l’Associazione “Sul fronte dei ricordi” e il comune di Moena, ha organizzato una bella mostra “1914-1918 ‘La Gran Vera’. La Grande Guerra Galizia-Dolomiti”. «Un modo per spiegare la guerra dal punto di vista di chi la guerra l’ha subita per ragioni a loro ignote», continua Chiocchetti, «sia per i nostri antenati, spediti a morire in Galizia (regione tra la Polonia e l’Ucraina dove gli austroungarici furono battuti dai russi, ndr) per una causa di cui nessuno sapeva bene l’esistenza, sia per quei poveri italiani che venivano mandati qui a farsi sparare dall’alto delle montagne per liberare una terra che non voleva affatto essere liberata».

DA TEMPO, ORAMAI LA FERITA aperta dal Trattato di Saint-Germain che portava i confini del regno fino al Brennero si sta di nuovo aprendo. Nelle elezioni provinciali di Bolzano del 2013 i due principali partiti indipendentisti sudtirolesi, il populista di destra die-Freiheitlichen ed il Sud-Tiroler Freiheit di Eva Klotz, più spostato a sinistra, hanno ottenuto 25 per cento delle preferenze elettorali. Per entrambe l’annessione della regione, in particolare della parte a nord di Salorno, fu un vero e proprio atto imperialista da parte di Roma che voleva porsi come nascente potenza politica e militare europea. Il 90 per cento degli abitanti del Sud Tirolo erano di lingua tedesca, avevano una cultura ed una storia completamente differente da quella italiana e, soprattutto, non volevano far parte di uno stato a loro del tutto estraneo.

POLITICI PIÙ ILLUMINATI, come Salvemini e Turati, fondatori del cosiddetto «gruppo salornista» avevano intuito che l’annessione avrebbe provocato gravi problemi sociali nella regione e all’Italia stessa. Chiedevano, quindi, che il confine si assestasse a Salorno, frontiera linguistica italiana.
A nulla valsero i loro sforzi e, anzi, durante il regime fascista il Sud Tirolo fu oggetto di una forzata e sanguinosa italianizzazione. Ettore Tolomei riscrisse la storia della regione negando la particolarità del popolo tirolese. Ci fu la cosiddetta italianizzazione dei nomi, la riforma Gentile soppresse le scuole non italiane e il regime favorì la colonizzazione della regione trasferendo migliaia di italiani.

TALE POLITICA DI NEGAZIONE culturale e linguistica di una popolazione che aveva già una propria cultura e una propria lingua, portò alla nascita di un forte movimento nazionalista e indipendentista sudtirolese che si espresse in tutta la sua forza in particolare tra gli anni Sessanta e Ottanta e che oggi sta rivivendo una sorta di rinascita anche tra le generazioni più giovani.

«L’adunata degli alpini a Trento a un secolo dalla fine della Grande Guerra è una pura provocazione, non solo per i sudtirolesi, ma anche per i Welshtiroler (i tirolesi trentini, ndr) che hanno combattuto nell’esercito austriaco», dice Eva Klotz, figura di spicco del Sud-Tiroler Freiheit, figlia di quel Georg Klotz, attivista sudtirolese considerato un eroe dagli indipendentisti, attivo negli anni Sessanta con numerosi attentati e morto in esilio a Innsbruck. Tra la comunità italiana e tra le file del Sudtiroler Volkspartei (Svp, votato anche dal 7 per cento degli italiani residenti in provincia di Bolzano) l’adunata degli alpini non è vista in modo così ostile: «Il Svp ha tradito l’idea indipendentista», afferma Klotz, «i giovani che non fanno parte di associazioni patriottiche come gli Schutzen non si sono resi conto dell’affronto e vedono l’adunata come un evento folkloristico. In realtà la vera intenzione degli organizzatori e delle autorità di Roma è ben altra».

IN REALTÀ NON TUTTI i separatisti hanno opinioni così drastiche. Florian von Ach, segretario generale del die-Freiheitlichen, partito che lotta per un Tirolo indipendente sia dall’Austria che dall’Italia ammette di vedere l’adunata degli alpini in maniera più rilassata rispetto ai colleghi del Sud-Tiroler Freiheit: «Non siamo così certi che la scelta su Trento sia stata fatta proprio per farla coincidere con il centesimo anniversario della fine della Prima Guerra Mondiale. Speriamo che non vi siano provocazioni inutili. La nostra idea è quella di non dare troppo peso a queste manifestazioni che sono rivolte al passato. Noi siamo protesi al futuro. Al nostro futuro».
Mentre a Trento le penne nere si preparavano alla sfilata, poco più a nord a San Leonardo in Passiria c’è il museo dedicato all’eroe nazionale tirolese Andreas Hofer. Qualche metro più in là, nel cimitero, qualcuno ha portato fiori sulla tomba di Georg Klotz.

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