I media sempre più digitali al tempo della «star della porta accanto»
Rapporto Censis Si legge meno, si sta sempre più sui social. Ma ci sono segnali in controtendenza
Rapporto Censis Si legge meno, si sta sempre più sui social. Ma ci sono segnali in controtendenza
È stato presentato ieri a Roma, nella sede della biblioteca del senato, il 15° rapporto del Censis sullo stato della comunicazione, intitolato «I media digitali e la fine dello star system». Introduzione del direttore generale Massimiliano Valeri e discussione con Gian Paolo Tagliavia (Rai), Gina Nieri (Mediaset), Massimo Porfiri (Tv2000), Massimo Angelini (Wind Tre), Fabrizio Paschina (Intesa Sanpaolo) e Francesco Rutelli (Anica). Le conclusioni, ovviamente, del presidente Giuseppe De Rita, sempre brillante nel disegnare sintesi brevi ma efficaci, ora «non siamo un popolo di lettori, bensì di navigatori», dove ben si spiega il trionfo della rete e dei social. Bravo, anche se un po’ piccato per i memorabili affreschi «concorrenti» di Bauman, dalla «società liquida» in poi.
Lo slogan dice molto e desta inquietudine: nel 2007 i quotidiani erano letti dal 67% degli italiani, percentuale ridotta nel 2018 al 37,4% (benché si registri un +1,6% nell’ultimo anno); i fruitori dei libri (uno almeno all’anno) sono scesi nello stesso periodo dal 59,4% al 42% e il calo per gli uni e per gli altri non è affatto compensato dall’online; mentre la spesa per smartphone nel decennio è aumentata del 221,6% per un valore di circa 6,2 miliardi di euro negli ultimo mesi, e gli utenti che usano i social sono arrivati al 72,5% (oltre il 90% tra gli under 30). Si è passati dal digital al press divide? Del resto, tra i desideri privati risaltano proprio i cellulari e i tatuaggi.
La sbornia internettista, vale a dire la navigazione nella superficie della rete che è il 3/5 del tutto, riguarda pure l’utilizzo dei nuovi strumenti nell’agire politico, se è vero che il 47% delle persone giudica utile il ricorso massivo a Facebook, a Twitter o a Istagram da parte di esponenti delle istituzioni. Ci sono quasi altrettanti elettori dubbiosi o contrari. Tuttavia, è indispensabile che ci si renda conto che le prossime campagne elettorali avranno la competizione qualitativa nei e sui social. Chissà che le autorità competenti non si sveglino.
Intendiamoci. Nelle diete mediatiche la televisione mantiene un primato, ancorché ormai relativo. La tv digitale terrestre e la sorella satellitare si attestano, rispettivamente, all’89,9% e al 41,2%, ma entrambe cedono il 2,3% del pubblico solo nell’ultimo anno. Continuano a crescere, invece, la diffusione televisiva via internet (30,1% della platea, +3,3%) e la mobile tv ((l’1% nel 2007 al 25,9%, +3,8% nel periodo recente). Il video on demand è la vera novità, perché si colloca al confine, con un successo del 30% tra i giovani. Il palinsesto tradizionale, più che la televisione in sé, è in una vera parabola discendente, visto che il consumo si intreccia e si allarga con un rapporto personalizzato con le fonti emittenti.
E’ il contenuto, non il mezzo, a tornare centrale. Qui sta la vera rivoluzione digitale, che non riguarda solo le tecniche, bensì i modelli sociali e culturali. E la radio, ingiustamente considerata l’anello debole del sistema, è sempre all’avanguardia nei processi di ibridazione: meno radio classica, però spiccato utilizzo del Web.
Insomma, è il fenomeno generale della disintermediazione: era «biomediatica», «reificazione» di se stessi (torna la Scuola di Francoforte?), reputazione «liquida» sono parole e concetti utili a descrivere il cambiamento.
Il Censis, però, vuole osare e stupire. Il titolo del rapporto evoca la fine dello star system. «Uno vale un divo», si afferma. Ognuno vuole e forse può, stando ai talent e agli X-Factor, diventare famoso. Gli-le influencer (vedi Chiara Ferragni) soppiantano il vecchio immaginario? La star è nella porta accanto? Mah, Fanny Ardant rimane in un altro girone.
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