Cultura

«Cemento armato», un principio generatore di illegalità e corruzione

Le «new town» dell’AquilaLe «new town» dell’Aquila

Scaffale Il libro di Francesco Chiodelli, per Bollati Boringhieri, sarà presentato a Bookcity il 17 (Adi Design Museum). Storia di banali edifici multipiani che rappresentano l’armatura urbana del Paese

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 15 novembre 2023

Il titolo del bel libro di Francesco Chiodelli, Cemento armato (Bollati Boringhieri, pp. 178, euro 14), potrebbe, a prima vista, trarre in inganno il lettore; a dichiararne le intenzioni e il contenuto è il sottotitolo, La politica dell’illegalità nelle città italiane. Una vasta e documentata rassegna delle corruzioni, infiltrazioni di criminalità organizzata, occupazioni di case e di edifici dismessi, pratiche quotidiane di illegalità diffusa che attraversano, e si praticano quotidianamente, in tutte le città italiane.

UNA INTELAIATURA PORTANTE, uno «gnommero», direbbe Gadda, di interessi diffusi inestricabile tra illegalità e azioni pubbliche che rappresenta una straordinaria risorsa per vari attori politici ed economici: faccendieri, immobiliaristi, finanza, organizzazioni criminali e naturalmente politici corrotti o collusi. E forse per questo è difficile eliminarla.

La tesi è subito enunciata nella prima pagina: il libro «racconta storie di edifici – e delle persone che li progettano, li costruiscono, li comprano, li vendono o li abitano – che, con poche eccezioni, sono gli edifici scialbi della quotidianità dell’Italia ordinaria: non grattacieli ritorti nel centro di Milano o attici faraonici con vista sul Colosseo (allusione forse alla vicende del ministro Scajola, ndr), ma banali palazzine multipiano, villette, capannoni e appartamenti come ce ne sono tanti, tantissimi in ogni angolo della penisola».

Il libro di Chiodelli scarta la semplice critica disciplinare per indagare a tutto campo intrecci profondamente radicati e largamente diffusi nella società e nella politica italiana, dei quali non si usa parlare negli ambienti accademici.

Se i concetti chiave sui quali si incardina il libro sono: illegalità e politica, l’ambito di applicazione per entrambi è la città, sia quella di grandi dimensioni come Milano o Roma, sia quegli agglomerati minori, sparsi, concentrati o diffusi sul territorio che rappresentano l’armatura urbana del Paese. In tutti questi, indipendentemente dal colore delle amministrazioni, questa illegalità, diffusa e quasi indistinguibile dalla legalità, diventa un modus operandi quotidiano che la politica o le politiche favoriscono o tentano apparentemente di contrastare.

L’AUTORE nell’Introduzione confessa (e in questo ha tutta la mia simpatia) di avere abbandonata la strada della retorica accademica tanto di moda quanto indigesta, a tal punto che il suo potrebbe essere quasi scambiato per un romanzo. Scelta compiuta sia per una sua antica (e repressa?) vocazione letteraria sia, e soprattutto, perché imposta dalla necessità di indagare la vita delle persone e di divulgarne i risultati tra i non addetti.

UNA SCELTA PEDAGOGICA e politica (che ricorda l’accademico francese Bourdieu), che dovrebbe improntare qualsiasi ricerca che travalichi l’arido e insipido sapere accademico. Il che rende particolarmente piacevole, accessibile e interessante la lettura di un argomento generalmente riservato ai soli specialisti.

Il racconto (possiamo chiamarlo così senza timore di sminuirne il valore o lo stesso rigore) si snoda attraverso vari modelli urbani di criminalità: città abusive, città occupate, città infernali, città corrotte, città criminali quasi come le Città invisibili di Calvino dove ogni città viene colta nel suo aspetto funzionale paradossalmente enfatizzato.

LA VICENDA DEL TERREMOTO di L’Aquila e del progetto berlusconiano C.A.S.E., ad esempio, è emblematico dell’eterogenesi dei fini dell’azione pubblica che diviene principio generatore di illegalità. Le migliaia di casette illegali aquilane hanno la propria origine in quella scellerata decisione pubblica che va sotto il nome di Delibera 58/2009. Così come i condoni edilizi hanno rappresentato la legittimazione di azioni perverse realizzate anche negli anni successivi.

Un altro episodio emblematico (ce ne sono molti nel libro) dell’intreccio tra illegalità e azioni pubbliche è il caso di Salvatore Buzzi e Massimo Carminati, che ha svelato un vasto sistema di collusione tra politica capitolina, funzionari della pubblica amministrazione, imprenditori e soggetti criminali (il famoso Mondo di mezzo).

Ed è attorno alla illegalità urbana, sostiene l’autore, che si allestiscono micidiali famiglie di pratiche, norme, azioni e inazioni, condoni ripetuti i cui effetti nel tempo si stanno rivelando drammaticamente disastrosi, oggi particolarmente per i mutamenti climatici. Chiodelli non indica, intenzionalmente, misure da adottare per contrastare il fenomeno, perché, sostiene, «mi pare che in Italia non si sia ancora giunti a riconoscere che l’illegalità urbana è un problema significativo, anche a causa della nefasta politica che lo caratterizza». Con una punta di ottimismo fuori tempo, potremmo concludere che «c’è ancora domani».

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