Visioni

Celia che avrà vent’anni nel Duemila

Celia che avrà vent’anni nel Duemila«Las niñas» di Pilar Palomero

Torino film festival In concorso nella nuova edizione virtuale «Las niñas» di Pilar Palomero, viaggio nel passaggio dall’infanzia all’adolescenza

Pubblicato quasi 4 anni faEdizione del 22 novembre 2020

Ad inaugurare i film in concorso del Torino Film Festival (20-28 novembre) diretto da Stefano Francia di Celle, quest’anno in edizione virtuale è stato il messicano Sin señas particulares (Senza segni particolari) coraggioso esordio di Fernanda Valdez viaggio all’interno del paese di una madre alla ricerca del figlio scomparso durante il tentativo di passare il confine con gli Stati uniti. Ma la sua scomparsa avviene ben prima del muro, ad opera di bande di narcos che infestano il paese. Sono sparite così un gran numero di persone negli ultimi dieci anni, come è emerso da indagini giornalistiche. Quello del film è dunque un viaggio simbolico che vuole abbracciare tutte le vittime di una mattanza fratricida in territori fuori controllo, una realtà di violenza inaudita esaltata dai toni pacati del racconto.

CI PORTA in un Far West dei giorni nostri The Evening hour di Braden King, autore anche di videoclip (con Laurie Anderson tra gli altri) in un paese del West Virginia nato attorno alle miniere che alla loro chiusura hanno prodotto il disfacimento del tessuto sociale, tra mancanza di lavoro e desiderio di partire senza riuscirci. Cole, il protagonista, assiste a domicilio i numerosi anziani del posto, cerca di diventare un vero infermiere e vende sottobanco antidolorifici. Un bravo ragazzo che si barcamena in un luogo dove impera uno spietato trafficante di eroina che ha in pugno la città. Tra tutti gli elementi del western, il saloon, il protagonista solitario, lo sceriffo, l’amico problematico, la prigione, la chiesa, i conti con un passato oscuro, si sente la tensione per scorgere in quel tramonto un barlume di luce.

ALL’INSEGNA dell’inclusione, secondo la scelta del festival (metà dei film di registi, metà di registe) il terzo film è un altro esordio, Las Niñas (Le ragazzine) della spagnola Pilar Palomero. Chi ricorda più il silenzio assoluto che doveva regnare nelle classi? il saluto reverenziale all’ingresso dei professori? Il film ci riporta a una atmosfera scolastica lontana, ancora di più perché è ambientata a Zaragoza, in una Spagna che ancora non si era liberata totalmente della pesante cappa della post dittatura, cominciava appena a uscire dal suo isolamento. La leggiadra comunità delle alunne delle medie nella scuola delle suore, con le divise che le fanno speciali come in certi film coreani, ma senza fantasmi, è la corona che circonda Celia (Andrea Fandos, di rara intensità) tredicenne giudiziosa e timida. Una ragazzina normale che nel coro deve solo aprire la bocca senza emettere suoni come quel gruppetto di studentesse che non sa cantare bene, che sta mettendo tutte le sue energie nel difficile cammino verso l’adolescenza. Pilar Palomero riesce a condurre questo passaggio con grande abilità, accumulando tutti i particolari della vita quotidiana come fosse un documentario, tenendo la sua protagonista ben stretta nell’inquadratura in un formato che, dice la regista, le ricorda quello quadrato del televisore del suo salotto) ma con l’elemento emotivo come chiave di svolta narrativa. Il tempo sembra sospeso, ma proprio dagli indizi televisivi si capisce che siamo all’inizio degli anni ’90 (è il momento di Raffaella Carrà alla tv spagnola).

IL PASSAGGIO dall’infanzia all’adolescenza è il segreto del film, con tutte le scoperte che riguardano il sesso suggerite dalle compagne più smaliziate, a cui fanno da contrappunto le lezioni di religione e il conformismo di una società di provincia non toccata ancora dalla movida, come fossero ancora gli anni Sessanta. Importante la messa in scena del contrappunto fra silenzio e chiacchiericcio, la ricerca nei cassetti proibiti di qualche indizio sulle origini, per saperne di più del padre, lo sguardo ormai distaccato verso i giocattolini. Provare a trasgredire bevendo o fumando, mettere il rossetto, scrutare il misterioso mondo dei ragazzi, fare un giro in motorino, mentre le compagne con famiglie «normali» tracciano crudelmente il confine che le divide. Celia, così come non è brava a cantare, è incline al silenzio («parla solo se sei interrogata»), laconica e osservatrice, incapace di aprirsi nel difficile rapporto con i «grandi». L’idea del racconto, dice la regista, nacque quando un giorno nella casa dei genitori trovò un quaderno di religione dove si annotavano spunti di un’educazione conservatrice segno che l’educazione era rimasta ancorata al passato.

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