Cees Nooteboom, figurazioni porose di un viaggiatore perso nella meseta
Scrittori nederlandesi Un lento, divagante pellegrinaggio iberico viene scandito da elementi prosodici, pause della cronaca diaristica, amnesie e varchi repentini nella scrittura: torna, riedito da Iperborea, «Verso Santiago»
Scrittori nederlandesi Un lento, divagante pellegrinaggio iberico viene scandito da elementi prosodici, pause della cronaca diaristica, amnesie e varchi repentini nella scrittura: torna, riedito da Iperborea, «Verso Santiago»
Dopo avere visitato il museo archeologico di Saragozza, preso da una sorta di sollievo, Cees Nooteboom annota: «Quello che mi piace della preistoria è l’assenza di particolari precisi. Nomi, dati reali, battaglie, complicazioni, tutto è diventato invisibile e in verità sembra che la cacciata dal paradiso sia avvenuta solo dopo, e che prima l’uomo conducesse un’esistenza campestre e pacifica fatta di caccia, produzione di terrecotte e pesca: un’esistenza diluita in un immenso, onnicomprensivo silenzio». Qui nelle vesti dell’autore di fortunati reportage di viaggio, lo scrittore olandese torna sul tema della digressione, imputando al fascino per il dettaglio inconsueto la ragione di una irrequietezza che lo ha condotto, già a partire dagli anni Cinquanta, a percorrere e ripetere gli itinerari più vari ed estenuanti: quelli raccontati in Verso Santiago Digressioni sulle strade di Spagna (già Feltrinelli nel 1994, riproposto ora da Iperborea in una edizione arricchita di mappe nella stessa traduzione di Laura Pignatti, pp. 420, € 19,50) sono forse i più memorabili.
Incline al tratteggio, in una prosa breve e di incerta collocazione, più di quanto non lo sia alla narrazione strutturata o al grande affresco, Nooteboom si presta solo controvoglia a condensare sulla pagina toponimi o eventi storici, e in questo senso la desolata meseta spagnola sembra offrirgli ristoro: una landa silenziosa, senza nome e senza contorni, costellata tuttavia da certe località nascoste e sovraccariche di passato, dove non può mancare di far sosta. Viaggiatore irrisolto, Nooteboom punta le destinazioni più impervie per poi cercare a volte conforto persino nella cupa stasi di un borgo spopolato. La sua doppia attitudine è condensata nel titolo di un vecchio libro, Hotel Nomade, che qui si riverbera nella scrittura di reportage dove il peregrinare è, come il periodare, imprevedibile.
A dispetto del suo stile elusivo, Verso Santiago ribadisce alcuni elementi: decisivo è anzitutto il dove. La Spagna che Nooteboom sceglie di raccontare è quella dell’entroterra e della cultura mozarabica, stretta per secoli tra il califfato e l’impero carolingio, con le sue cattedrali trascurate le cui decorazioni dal sapore apocalittico inaugurano un carattere dell’arte iberica che gli è assai caro. È quel Medioevo saturo di simbologie e di elementi macabri, che eserciterà il suo peso sinistro sull’estetica cattolica fino alla Controriforma, e che oggi è difficile penetrare fino in fondo: «Le parole, proprio come le immagini, col tempo diventano oscure. (…) In questo senso si può affermare che il passato non esiste. Esistono immagini, ma non parlano il nostro linguaggio. Sono diventate arte, oggetti preziosi, certamente non riproduzioni della crudeltà, del caos, del fetore e della morte di una battaglia». Ossessionato da queste figurazioni, Nooteboom prova a evocare ciò che non vede: pochi altri luoghi, dichiara, conservano un tale culto della loro storia passata come la Spagna interna, arida e decadente, la stessa che avrebbe ospitato i personaggi di Cervantes, o gli ambigui soggetti dei dipinti di Zurbarán e di Velázquez.
Nooteboom ricorda questi luoghi non tanto per via degli artisti che lì hanno vissuto, ma affidandosi ai personaggi fittizi, immaginari, che li popolano; se c’è qualcosa di ultramondano, tra le pagine dello scrittore olandese, va rintracciato in queste entità che vagano nel presente: non in qualità di spettri, di ossessioni, di trigger, bensì di finzioni fraintese e out-of-joint, miti sfuggiti al controllo; o in certe consistenze metafisiche pesanti come macigni, che affollano volte e piloni delle cattedrali, affacciandosi su paesaggi predisposti al loro arrivo, ma ormai disertati.
Verso Santiago è centrale, nell’opera di Nooteboom, non soltanto grazie ai luoghi di cui racconta, ma anche grazie al tempo in cui tutto si svolge: tutti o quasi i viaggi risalgono agli anni Ottanta, quando lo scrittore olandese pubblicò Rituali, il suo romanzo più importante, che indaga la cesura, all’epoca particolarmente vistosa, tra un’educazione classica, ricevuta in un collegio cattolico, e una società metropolitana sovreccitata. La Spagna proprio allora si lasciava alle spalle la lunga stagione del franchismo, con il suo carico altrettanto macabro, violento, claustrofobico, esibendo, soprattutto nei grandi centri urbani, una nonchalance cui l’autore olandese guarda con sospetto, perché vi riconosce il rischio dell’amnesia.
A Nooteboom non sembra interessare granché il tenere viva l’attenzione su una parte del paese già in ombra, una Spagna occulta, cripto-cattolica e magari cripto-franchista, che stava scivolando sempre più ai margini: l’attualità non ha, fra queste sue pagine, un grande peso, né i suoi percorsi sono motivati dal desiderio di qualche riscoperta. Il dove e il quando – nei viaggi di Nooteboom – sono piuttosto scanditi da elementi prosodici, accenti e pause nella cronaca, mentre varchi repentini si aprono –amnesie, salti nel tempo, intuizioni – assecondati dalla scrittura. Tanto il soggetto del diario di viaggio, quanto la cronaca storico-geografica si rivelano finte pezze d’appoggio, perché quella di cui Nooteboom racconta è una consistenza porosa, cedevole, intimamente inaffidabile. E mentre lo si legge, l’autore sembra dileguarsi in una sequela di ricordi e di versioni delle stesse memorie, che dialogano tra loro, rallentando e poi ancora dilazionando il raggiungimento della meta.
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