Corteccia di Manzanita, foto Cédric Pollet
Corteccia di Manzanita – foto Cédric Pollet
Alias Domenica

Cédric Pollet, l’arte involontaria delle cortecce

Viride «Cortecce. Viaggio nell’intimità degli alberi del mondo», edito da L’ippocampo
Pubblicato 11 giorni faEdizione del 29 settembre 2024

Tratto distintivo degli alberi, la corteccia esige un’attenzione che se da un lato la assimila al soggetto di cui è veste e interfaccia, al tempo stesso da questo la isola in una sorta di straniamento. Perché specialmente per indagarne il dettaglio che fa inesauribile la varietà di combinazioni delle sue forme e colori, la corteccia va osservata a sé, da vicino, isolata, quasi riquadrata.

Questo è l’assunto da cui parte il fotografo naturalista Cédric Pollet, che all’universo delle cortecce ha dedicato un progetto decennale che lo ha portato tra i continenti a visitare 450 specie di piante per distillarne 81 ritratti: Cortecce Viaggio nell’intimità degli alberi del mondo (L’ippocampo, pp. 192, € 25,00).

Nel suo percorso, l’aspetto estetico è demandato alla restituzione in fotografia del ritaglio dei soggetti. E soltanto in seconda battuta gli si affianca l’immagine dell’albero nel suo contesto naturale. Scorrono così tra le pagine ritratti di cortecce striate, screpolate, incise da verruche e lenticelle, squamate per frammenti rettangolari, lamine molteplici o strati sovrapposti, spesse, fibrose fino a essere ignifughe, ricche di tannino contro funghi e insetti, percorse da placche, losanghe, bocche, cerniere verticali, lacerate orizzontalmente a intervalli regolari, crepate da solchi ritorti, tappezzate di spine. Volta a volta tracce o sigilli ed emblemi destinati a restar fissi nel tempo o a variare per grana, cromia, iridescenze. A segnare il trascorrere delle diverse fasi della vita dell’albero, come del volger delle singole stagioni: il sommarsi di strati sovrapposti di placche di corteccia rosso violaceo che crescendo conforma il Pino marittimo; lo sfogliarsi con il sopraggiungere della calura estiva di frammenti rettangolari che dal tronco del Corbezzolo greco si avvolgono come bastoncini di cannella svelando il fugace verde mela della nuova corteccia; il verdeazzurro che la grigia, vecchia corteccia dell’Eucalipto rosso di Sydney assume subito prima di virare al cambio sui toni del giallo e poi dell’arancio.

Implicate in queste meravigliose forme d’arte involontaria si accompagnano soluzioni efficaci, ingegnose invenzioni dell’evoluzione. Come per la corteccia di mimetizzazione che nel Pino di Bunge cambia colore a seconda delle stagioni e dell’orientamento, o nel caso delle lenticelle che sul candido tronco del Pioppo bianco talvolta si uniscono a disegnare bocche – vere e proprie aperture capaci di agevolare scambi gassosi. E mentre la colorazione sul verde di molte cortecce nuove – ad esempio nel cosiddetto Blu paloverde o Parkinsonia florida – tradisce la ricchezza di pigmenti clorofilliani e la capacità delle cortecce di effettuare fotosintesi spesso in condizioni di caldo eccessivo, la Vite della Namibia vira invece in estate al bianco, favorendo così un migliore riflesso dei raggi solari. In alcuni casi poi – come per il Kauri neozelandese, l’albero sacro dei Maori – è l’esigenza di scrollarsi di dosso parte almeno delle piante epifite che la ricoprono a spiegare il regolare rinnovo della corteccia. Così, quest’elemento, molto presente nel nostro quotidiano – sotto le forme più varie, sughero cannella, caucciù incenso, prodotti medicinali, pigmenti, fibre, gomme da masticare –, si proietta a evocare paesaggi, libere astrazioni, mimetismi, carte geografiche, grafie.

Come per l’Eucalyptus sclerophylla, popolarmente detto dagli aborigeni australiani, scarabocchiato: sul cui tronco appare una sorta di scrittura a zigzag, articolata in una serie di diversi, riconoscibili ma incomprensibili moduli. Di cui si è decifrata l’origine soltanto negli anni trenta, nel segno della larva di una piccola farfalla in azione tra vecchia e nuova corteccia, che si rivela però soltanto allo fogliarsi della prima.

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