Visioni

Cédric Klapisch, «la mia prima volta in tv»

Cédric Klapisch, «la mia prima volta in tv»Cédrick Klapisch e sotto una scena da «Call My Agent!»

Intervista Il regista dell'«Appartamento spagnolo» parla dell'esordio sul piccolo schermo con la serie, «Call My Agent!»

Pubblicato quasi 9 anni faEdizione del 19 novembre 2015

«Un impianto nucleare in Iran è meno complesso del contratto di un attore», spiega il veterano Hervé a Camille, la nuova arrivata nell’agenzia per attori parigina ASK, che ha tra i propri clienti personaggi del calibro di Guillame Canet. La sede di ASK è il centro di irradiazione di Call My Agent!, serie tv francese in sei puntate presentata al Fiction Fest di Roma. Direttore artistico e regista dei primi due episodi è Cédric Klapisch (L’appartamento spagnolo), al suo primo lavoro tv in una fiction che fa proprio del cinema visto da dietro le quinte il motore della commedia. Attraverso gli occhi di Camille veniamo condotti nel girone infernale dei contratti dei divi, in cui la notizia che Tarantino, pronto a girare a Parigi, non vuole più Cécile de France come protagonista del suo ultimo western perché a 40 anni è troppo vecchia viene accolta con l’appellativo di «Hiroshimesco». Ogni puntata gira intorno alle peripezie di uno dei clienti dell’agenzia, o meglio del team di impresari al suo seguito. Al centro del primo episodio si tratta proprio di Cécile de France, posta con grande autoironia di fronte al dilemma del botox. Call My Agent! Si destreggia così con i clichè del mondo dello spettacolo e del suo backstage – «Niente Cécile De France, niente Parigi» è l’ultimatum del direttore di ASK per la manager di Tarantino – con una scrittura all’altezza degli standard della tv odierna. Che è proprio il motivo per cui Klapisch dice di aver accettato di far parte del progetto.

Da regista che ha sempre lavorato al cinema come si è trovato a confrontarsi con la tv?

Non c’è stata una grande differenza, perché credo che le frontiere della narrazione stiano veramente cambiando. Una delle ragioni per cui ho accettato di farlo è la scarsa qualità delle fiction francesi. Penso che la gente del cinema debba lavorare in tv per provare ad alzare il livello… Le serie americane e inglesi sono talmente belle che mi chiedevo da tempo quando in Francia saremmo stati in grado di vedere qualcosa del genere. Bisogna guardare a ciò che in America hanno fatto registi come David Lynch, Fincher o Jane Campion: persone che vengono dall’industria cinematografica e si sono messe a lavorare anche sul piccolo schermo.

Aveva in mente qualche serie tv in particolare durante le riprese? 

Ho scoperto questo nuovo fenomeno con Six Feet Under, poi I Sopranos, The Wire, True Detective... È una nuova esperienza impossibile appena 10 anni fa, un piacere altrettanto intenso che vedere un buon film al cinema. Per me è un nuovo modo per creare dei film, senza l’assillo della durata. Mi è stato chiaro dopo aver visto cinque stagioni di Six Feet Under, 60 ore di fiction. E per me è una rivoluzione, perché non ci si rapporta più ai personaggi nello stesso modo, è una nuova strada per raccontare storie.

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Ha contribuito in qualche modo alla sceneggiatura di Call My Agent? 

Ci sono già una decina di sceneggiatori – la principale è Fanny Herrero che interviene in ogni episodio – ma ci si confrontava sempre: è un processo molto più collettivo di quello che c’è dietro a un lungometraggio. La discussione tra regista e sceneggiatori è più intensa, si parla costantemente della narrazione, dei personaggi, del casting. In questo senso ho partecipato alla scrittura, così come lo hanno fatto gli stessi produttori.

Da regista, che genere di conseguenze pensa che avrà quanto è appena successo a Parigi? 

Ogni volta che c’è un attentato simile è come se cambiasse l’epoca storica. Come per l’11 settembre, che ha stabilito un prima e dopo l’evento. Non posso ancora sapere di preciso come modificheà le nostre esistenze. è qualcosa di troppo vicino e intenso e sta accadendo in questo stesso istante, in cui è in corso un raid nella casa in cui a quanto pare viveva la «mente» degli attentati della settimana scorsa. Ci sono tantissime persone che si ritrovano a piangere ogni giorno, io stesso vivo nell’11mo Arrondissement dove perfino i bambini a scuola ne parlano . Ci sarà una reazione probabilmente violenta ma forse anche di unione, solidarietà, quanto mi capita più spesso di vedere. A emergere- ne ho quasi la certezza – sarà quindi questa idea di unità: esattamente il contrario di ciò che i terroristi volevano provocare. Da quel punto di vista penso abbiano già perso.

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