Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al ministero dell’Economia, cosa pensa dell’emendamento proposto da Fratelli d’Italia, approvato da una parte della maggioranza e passato nel “Decreto Aiuti” che attribuisce ai datori di lavoro privati il potere di segnalare i percettori del “reddito di cittadinanza” che rifiutano un’“offerta di lavoro congrua”?
Sono contrarissima per il suo significato politico e filosofico. Nella mozione iniziale presentata da Fratelli d’Italia si parla anche di un obbligo da parte dei beneficiari a coprire i posti vacanti in agricoltura o in altri settori attraverso i “progetti utili per la comunità” (Puc). In pratica è molto simile alla coscrizione o alla schiavitù. Io non metto in discussione il principio della congruità dell’offerta, ma non può essere il datore di lavoro a decidere se un’offerta di lavoro è congrua o se un rifiuto comporta la perdita di un sussidio. Dal punto di vista formale questa norma, che a mio avviso è vergognosa, è oltretutto inapplicabile perché la lista dei percettori non è e non deve essere di dominio pubblico. La povertà è una responsabilità sociale non individuale e non deve tradursi in un marchio di infamia.

Perché trova questa norma vergognosa?
È lo specchio dell’idea infondata che le persone che percepiscono il “reddito di cittadinanza” non hanno voglia di lavorare, e che le imprese non trovano lavoratori perché c’è troppa gente che ha il reddito e non vuole perderlo. Non c’è nessuna evidenza empirica che questo stia avvenendo in generale, e in particolare nei settori del turismo o della ristorazione. Il 50% dei percettori non può essere attivato al lavoro per età, disabilità e altre ragioni sociali complesse, quali l’impegno nel lavoro di cura. Il 20% sono lavoratori poveri che non guadagnano abbastanza per una vita dignitosa. Gli altri hanno un rapporto labile con il mercato del lavoro perché hanno titoli di studio bassi o disoccupazioni di lunga durata. Senza contare che dei 3,2 milioni di percettori 1,2 i sono minori, su cui così si getta discredito. Dire che il problema è il “reddito di cittadinanza” è una bugia e impedisce di fare un’analisi vera e trovare una vera risposta.

La norma di sicuro passerà definitivamente. Cosa farete allora?
La si può cambiare con un altro provvedimento. Bisogna provarci ma non sarà facile Il centrodestra è molto compatto a sostegno.

Un’altra misura del “Decreto Aiuti”, il bonus 200 euro, ha escluso molte categorie di lavoratori precari e autonomi. È paradossale che una misura rivolta a più di 31 milioni di persone non li contempli. Riuscirete a estenderla?
Questo bonus non è un intervento strutturale ma dà un sostegno ai percettori di reddito fisso. Sicuramente sono stati fatti degli errori, a mio avviso, ad esempio sui soggetti con disabilità che fruiscono di decontribuzione e sono stati esclusi. In un momento in cui l’inflazione continua a crescere è chiaro che bisogna valutare una possibile espansione della misura. Queste istanze vanno prese in considerazione.

Il segretario del Pd Enrico Letta ha parlato di un “taglio choc” del cuneo fiscale da fare nei prossimi mesi. E sono in molti a condividere questa idea. Meno chiaro è il modo in cui farlo. E soprattutto le idee in merito del governo. Cosa farete?
Più che di “choc”, si tratta di riflettere su come rendere strutturali misure economiche di giustizia sociale. Il taglio del cuneo è necessario per riequilibrare l’onere fiscale in un sistema profondamente ingiusto dove il peso più grande è sostenuto, in proporzione, dal lavoro dipendente e dai pensionati. Non si può pensare di ridurre il cuneo ricorrendo al debito pubblico. I bassi salari, fermi da decenni, non sono responsabilità del sistema fiscale, se non in piccola parte. Il problema è semmai di un sistema industriale che non punta sulla qualità del lavoro, ma sul contenimento del suo costo e ciò crea un circolo vizioso con la bassa produttività.

Come si potrebbe finanziare il taglio al cuneo?
Con i proventi dell’evasione fiscale ad esempio. L’anno scorso il governo ha usato poco più di 4 miliardi nella rimodulazione dell’Irpef. Allora sostenni che l’intera cifra avrebbe dovuto essere impiegata per il taglio del cuneo, ma sono rimasta abbastanza sola. Servirebbero tra i 6 e gli 8 miliardi.

Non le sembra poco?
Se sono insufficienti le risorse, si possono ipotizzare interventi fiscali per redistribuire il prelievo a favore di questi redditi, e migliorare quindi l’equità complessiva del sistema.

Realisticamente sarà approvato un salario minimo in questa legislatura?
Si può fare la legge sulla rappresentanza per evitare i contratti pirata. È un tema difficile anche perché non tutti i sindacati sono d’accordo . Con questa legge e la validità erga omnes dei contratti il campo di azione del salario minimo si ridurrebbe ai settori in cui non ci sono coperture contrattuali e al supporto legale nelle cause. E’ comunque sbagliato ritenere che un salario minimo legale porti ad abbassare i salari esistenti. Poi bisogna evitare il lavoro povero, che dipende anche dai lavori a termine molto brevi e dal part time involontario, disboscando il numero dei contratti precari, e ricordando che i salari bassi non sono solo quelli all’accesso, ma persistono negli anni e si riflettono nelle basse pensioni.

Il superbonus 110% incide negativamente sul bilancio, c’è il rischio di frodi e le cessioni sono state limitate. Non sarebbe stato meglio usare le cospicue risorse stanziate per un piano di edilizia popolare?
Per il sostegno alla riconversione ecologica degli edifici è importante privilegiare l’edilizia residenziale pubblica e agli ospedali e scuole. È importante riportare, come già deciso, queste misure a una compartecipazione, e non a spese del bilancio. Va anche detto che, come misura contingente in un momento di crisi, il superbonus ha avuto il merito di rilanciare il settore edilizio che in Italia è importante dal punto di vista dell’occupazione e ha dato un contributo della ristrutturazione energetica e antisismica. Abbiamo cercato un equilibrio per frenare gli abusi che si sono verificati più sugli altri bonus, come quello “facciate”, che su questo. Il rischio è bloccare le attività intraprese. Tuttavia queste misure hanno avuto effetti distribuitivi molto spostati sui ceti medi e medio-alti.