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C’è del marcio (anche) nel football britannico

C’è del marcio (anche) nel football britannicoSam Allardyce

Londra L’Inghilterra del calcio nella spazzatura. Lo sporco di un sistema di frode - a tutti gli effetti mafioso - in cui maramaldeggiava l’ormai ex ct dell'Inghilterra Sam Allardyce

Pubblicato circa 8 anni faEdizione del 2 ottobre 2016

«The Three Lions in the dirt», ovvero, «L’Inghilterra del calcio nella spazzatura», nello sporco di un sistema di frode – a tutti gli effetti mafioso – in cui l’ormai ex ct dell’Inghilterra Sam Allardyce, maramaldeggiava con disinvoltura.

Londra, la «City of football», per eccellenza, ha reagito a capo chino, «umiliata», come l’aggettivo usato a caratteri cubitali dal Times per definire le proporzioni dello scandalo, scoperchiato dall’inchiesta in incognito dai giornalisti di un altro autorevole quotidiano d’Albione, The Telegraph, e che ha dimostrato come un ricettacolo di manager (che qui, per tradizione, significa essere allenatori e direttori sportivi al tempo stesso) fossero d’accordo su come aggirare la norma introdotta nel 2008 dalla Football Association, per impedire a terze parti di guadagnare sui trasferimenti dei calciatori in sede del calcio mercato.

Secondo questa norma, infatti, il cartellino deve appartenere soltanto al club, all’agente di riferimento e, ovviamente, al giocatore stesso. Nessun fondo o ulteriori uomini di affari possono detenere percentuali per poter poi guadagnare sui diritti provenienti dalla compravendita del cartellino e dell’ingaggio offerto al calciatore. Una pratica molto in voga, peraltro, in tutto il Sud America: uno dei primi casi famosi, fu quello dell’ex Juventus Carlos Tevez, che ha fatto giurisprudenza sul microfrazionamento di proprietà dei cartellini stessi. Per Allardyce, tutto facilmente superabile: i paletti della Fa si sarebbero potuti rimuovere senza problemi. Con una consulenza «delle sue» al costo di 400 mila sterline (circa 460mila euro) e la disponibilità a far visita a Singapore, ai «capoccia» del (finto) fondo dei (finti) emissari, ovvero i giornalisti del Telegraph sotto mentite spoglie, per organizzare un nuovo giro di giocatori da spostare da una squadra all’altra, magari ipervalutandoli per far sì che tutti ci guadagnassero, stagione dopo stagione.

Accertando (dichiarando così il falso) sui contratti che, qualora il cartellino del calciatore in questione fosse stato interessato da terze parti, queste ultime non avrebbero più potuto continuare nei loro affari, una volta varcati i confini inglesi. Fa tutto parte di quel nuovo «calciomercato all’ingrosso» che, ad esempio, i tifosi del Charlton Athletic, compagine del sudest operaio londinese, stanno combattendo da tempo: un movimento di protesta contro la proprietà del politico e uomo d’affari belga Roland Duchâtelet, che possiede – oltre agli Addicks biancorossi – anche il Sint-Truiden (in patria), l’Alcorcon in Spagna, l’Újpest in Ungheria e il Carl Zeiss Jena in Germania, il che lo porta a mescolare calciatori da una parte all’altra d’Europa in un calderone di affari sospetti. La Fa lo ha sempre guardato con sospetto anche se, per il momento, tra i nomi «illustri» implicati nella vicenda sono Tommy Wright, vice allenatore del Barnsley e Hasselbaink, tecnico del Queens Park Rangers (ed ex punta del Chelsea), oltre a due italiani – Massimo Cellino, l’ex patron del Cagliari ed ora presidente del Leeds di Championship (il suo metodo prevedeva la vendita di quote del club a fondi di giocatori in cambio di lauti guadagni sulle operazioni di mercato) e Pino Pagliara, l’«uomo della valigetta» di Genoa-Venezia di 11 anni fa ed ora datosi agli «affari» oltre Manica.

Adesso Allardyce – il Big Sam di Bolton – è stato destituito (si dice, oltretutto, con una buona uscita da 1 milione di sterline). In 67 giorni, un match ufficiale, il successo 1-0 contro la Slovacchia nella corsa a Russia 2018: il Sun ha ironizzato definendolo il coach di maggior successo della nazionale per avere il 100% delle partite vinte nel suo ruolino.
Per il suo esordio casalingo contro Malta (in programma sabato a Wembley), la stessa federcalcio aveva speso 40mila sterline di magliette di benvenuto, da distribuire ai tifosi: un’operazione di marketing (come ce ne sono tante da queste parti), tornata indietro con un violento effetto boomerang. Ora, ad interim, al posto di Allardyce c’è l’ex difensore classe 1970 Gareth Southgate, prelevato direttamente dall’Under 21: 4 gare e poi si vedrà. I bookmakers inglesi quotano la sua permanenza a 2,5. Poi, favoriti, altri due «signori» del calcio inglese, come Steve Bruce e Alan Pardew. Signori, come si pensava fosse anche Allardyce. Ma, proprio su questa traccia, è spuntata l’idea Arsène Wenger, francese, ma divenuto «lord» per i suoi 20 anni di calcio britannico alla guida dell’Arsenal. Che poi abbia vinto pochino, poco importa: è un uomo tutto d’un pezzo.

Fatto sta che il calcio inglese è qualcosa che in Italia abbiamo un po’ frettolosamente idealizzato, grazie al modo spettacolare che ha di vendersi al pubblico del mondo intero. Un tappeto persiano prezioso, quasi inestimabile, sotto il quale è stata raccolta una miriade di sporco. Di «dirt», appunto, come si legge a caratteri cubitali in quella prima pagina del London Evening Standard, che campeggia in un bidone della spazzatura di Hyde Park.

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