Visioni

C’è bisogno di cinema in tutte le sue forme

C’è bisogno di cinema in tutte le sue forme

Intervista Jerzy Skolimowski presenta il suo ultimo film alla quinta edizione di "Registi fuori dagli sche(r)mi", a Bari, dove incontrerà il pubblico

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 1 marzo 2016

«La pittura è stata fondamentale, è stato un po’ come rinascere». Diciassette sono gli anni che il regista polacco Jerzy Skolimowski, tra il 1991 di 30 Door Key e il 2008 di Four Nights with Anna, ha dedicato all’attività di pittore nella sua casa di Malibu, in California, mentre i suoi quadri sono stati esposti dalle gallerie di New York alla Biennale di Venezia. «Più che aver influenzato i miei film successivi, la pittura mi ha proprio spinto a tornare al cinema», continua il regista che il 25 febbraio ha incontrato il pubblico del Cineporto di Bari nell’ambito della quinta edizione di «Registi fuori dagli sche(R)mi», rassegna diretta da Luigi Abiusi.

La serie di incontri e proiezioni andrà avanti fino a novembre tra i Cineporti di Bari, Lecce e Foggia, e come nelle edizioni precedenti si concentrerà su autori e film «sommersi», «marginalizzati dal mercato» come appunto l’ultimo lavoro di Jerzy Skolimowski, 11 minut, presentato in anteprima nel concorso dell’ultimo Festival di Venezia e ancora mai distribuito in Italia.
Tra gli ospiti degli anni passati anche Jan Soldat, Abel Ferrara, Todd Solondz e Roberto Minervini.

Il film precedente del regista polacco, Essential Killing, in concorso ancora una volta a Venezia nel 2010, non è anch’esso mai approdato sugli schermi italiani pur avendo vinto il Premio della Giuria presieduta da Quentin Tarantino e la Coppa Volpi per il miglior attore: Vincent Gallo, per cui fu Skolimowski stesso a ritirare il premio.
11 minut ed Essential Killing sono due film molto diversi ma quasi complementari, in cui si passa dallo stato di natura al proliferare della tecnologia, dal punto di vista singolo a una moltitudine di personaggi. Essential Killing è infatti la storia di un uomo fuggito da un centro di detenzione segreto statunitense, e della sua odissea – senza maiproferire parola – in mezzo alle foreste innevate della Polonia.

11 minut invece riunisce tante storie e personaggi diversi avviati verso una sorta di apocalisse. «Il primo è una storia individuale – osserva Skolimowski – l’altro ha più personaggi che vanno incontro alla catastrofe. Forse in comune c’è questo: partono entrambi da una situazione abbastanza casuale che ne genera altre molto negative, arrivando poi a un finale drammatico».
La tragedia che chiude il suo ultimo film ha un’interpretazione aperta, che riguarda il futuro della narrazione per immagini come quello dell’umanità, cupo quasi quanto quello che il regista vede incombere sui nostri tempi: «possiamo solo aspettarci il peggio, è alle porte ogni possibile catastrofe immaginabile».

Skolimowski, classe 1938, ha esordito nel 1964 con Segni particolari nessuno dopo essersi diplomato alla Scuola di cinema e aver già scritto poesie, racconti e sceneggiature – tra cui la collaborazione con il connazionale Roman Polanski a quella di Il coltello nell’acqua.
In 11 minut, l’attenzione alle nuove tecnologie parla anche della Settima Arte nell’epoca del digitale, su cui invece Skolimowski sembra essere ottimista. «Il cinema si svilupperà lungo tutte le direzioni, esisterà in tutte le sue forme, da quella bizantina e barocca delle grandi produzioni alle forme più personali e intime, magari realizzate con mezzi molto semplici e poveri. Credo ci sia oggi un grande bisogno del cinema, e anche in futuro la gente continuerà a guardarlo tutto, a prescindere da stili e storie».

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