Delia sa che prima o poi Ivano, suo marito, le darà la quotidiana razione di botte, è solo questione di capire quale sarà il movente del giorno. D’altro canto, l’uomo, è un po’ «nervoso», ha fatto due guerre e nelle sue condizioni è proprio difficile astenersi dall’essere un criminale tra le mura domestiche. Delia pensa alla casa, rincorre i due fratellini sboccati, aggiusta quello che il suo «carnefice» rompe attribuendole la colpa, prende pugni e insulti, e poi va avanti e indietro per le strade di Roma, riparando ombrelli, rammendando vestiti, facendo iniezioni e svolgendo chissà quante altre mansioni. Ovviamente guadagna poche lire rispetto ai beoti che non sanno fare niente. «Sono maschi», e questo basta a giustificare l’ingiusta sproporzione.

MARCELLA, la figlia maggiore, guarda sbigottita e arrabbiata sua madre che incassa senza reagire. Intanto, però, la giovane (potenziale) ribelle spera di sposare Giulio, di buona famiglia (si fa per dire), che non sarà nervoso per le guerre che peraltro non ha combattuto, ma che promette di essere altrettanto coercitivo. Chiuso in una stanza, il nonno, il padre di Ivano, si lamenta di non ricevere le giuste attenzioni e consiglia il figlio di menare la moglie con intervalli temporali più lunghi: meglio poche legnate ben assestate che un continuo picchiare e dover sentire in continuazione i pianti di quella donna che tutto sommato ha il solo grande difetto di parlare.
Questi personaggi rigorosamente in bianco e nero sono tra i protagonisti di C’è ancora domani, l’esordio alla regia di Paola Cortellesi, che nel film interpreta Delia con Valerio Mastandrea nel ruolo di Ivano. Opera prima scelta (nel concorso Progressive Cinema) per aprire ieri sera la diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma.

UN LAVORO nel quale la neo regista ha raccontato il personale e il collettivo. Una vicenda famigliare che ha sullo sfondo l’Italia uscita dalla guerra, tra liberazione e rovine, tra la prepotente riaffermazione di vecchie abitudini delittuose e la prospettiva ambiziosa di ricostruire tutto da capo, possibilmente facendo a meno delle macerie lasciate dal fascismo.
Siamo alle porte del 2 giugno 1946. Un voto che oltre a sancire la nascita della Repubblica segna l’accesso definitivo alle urne di milioni di donne (e la possibilità di essere elette). Ed è su questo secondo aspetto che C’è ancora domani punta maggiormente, anche se Cortellesi ha preferito concentrarsi sulla formazione autodidatta di una donna che, riflettendo sulle proprie esperienze, giunge a quella che si potrebbe definire autocoscienza. Pensieri, quelli di Delia, che talvolta sono espressi in modo più didascalico che ingenuo, con l’esito di sottrarre pathos a una storia che con equilibrio sa offrire variazioni di temi e generi. Tra coreografie, drammi, scene violente, amori sfumati, amicizie sincere, una volta di più, sono le parti della commedia umana a tratteggiare in modo più efficace un’umanità che in ogni epoca è chiamata (vanamente?) domani a essere migliore di ieri.