Nati nel lontano 2008 a Verona con un’estetica legata ai vicini monti della Lessinia, i C+C=Maxigross hanno cambiato formazione e veste molte volte. Il primo ep Singar cadeva sotto il genere – da loro stessi definito – «mountain psych folk» e giocava con la musica con ironia e freschezza: da allora sono passati altri ep e cinque studio album, che hanno attraversato alternative rock, improvvisazioni psichedeliche, sonorità afro-beat, basi nettamente elettroniche. Ora è uscito un nuovo album per Trovarobato e Dischi sotterranei dal titolo Cosmic Res, che prelude a una lunga serie di concerti in giro per l’Italia e, insieme alle lezioni del passato, raccoglie anche una componente mantrica. In effetti, è dedicato a Miles Cooper Seaton, compianto membro degli Akron Family, mentore e produttore della band veronese. «Nel febbraio 2021, ci siamo ritrovati in studio solo io e Cru» racconta Tobia Poltronieri in arte Tobjah, parlando del compagno di band Niccolò Cruciani, in arte Cru. «Alcuni membri del gruppo se n’erano andati, eravamo nello Studio Tega, dove registriamo, e volevamo portare avanti la nostra ricerca musicale. Quei giorni hanno coinciso con la morte di Miles e inevitabilmente è stato un fatto molto potente che ci ha influenzato nel profondo. D’altra parte, l’arte è un modo per elaborare le cose».La morte di Miles è stata devastante, ma l’arte è un modo per elaborare le cose»

ANCHE SE ormai da qualche anno i C+C=Maxigross cantano in italiano, il titolo è un mix di inglese e latino, che evoca spazi ampi, lontani e apre a canzoni più o meno esplicite intorno al tema dell’addio, della fine, della mancanza, lanciando immagini suggestive o puntuali, parlando tanto del personale quanto del collettivo, mescolando recitato e cantato. Dopo le destrutturazioni musicali di un album come Sale, uscito nel 2020 all’interno di una campagna di denuncia da parte della band nei confronti delle grandi piattaforme di streaming e dei bassi compensi riservati agli artisti, con Cosmic Res comincia a ricomparire la forma della canzone classica, costruita sopra a un’enorme varietà di stimoli ed effetti sonori, fra cui il sax di Laura Agnusdei. «Anche se il bello di questo progetto è la libertà con cui scriviamo, cerchiamo sempre di darci dei paletti e questa volta volevamo recuperare un po’ la componente folk» spiega Tobjah. «Con questo disco abbiamo cominciato a fare pace con la canzone d’autore, che negli ultimi anni abbiamo voluto stravolgere molto» racconta Cru. «Ci trovavamo spesso a improvvisare in sala prove e a fare sulle improvvisazioni un lavoro di studio, di taglia e cuci, guidato soprattutto dall’istinto. Invece, da qualche tempo stiamo lavorando in modo diverso e il prossimo disco potrebbe essere solo di canzoni in senso classico».
L’album è stato scritto e registrato dagli stessi Tobjah e Cru, con l’aiuto di Duck Chagall, nome d’arte di Francesco Ambrosini, produttore veronese ed ex membro della band: un processo di creazione autoriale molto distante da quello del mercato commerciale. Un processo che oggi, con Sanremo così ingombrante e una scena indipendente molto sacrificata, è abbastanza raro.

«SECONDO ME il momento è inedito: Sanremo ha avuto una grande rinascita, mentre i locali medio-piccoli fanno fatica» afferma Tobjah. «Non c’è più la scena indipendente da cui siamo partiti e in cui ci siamo mossi negli ultimi dieci anni. Come sta succedendo in molti ambiti, il mercato musicale si sta polarizzando fra cose che hanno grande successo e le nicchie, che sono sempre più piccole. Forse è una questione culturale, forse ci sarà una band alternative che aprirà una strada virtuosa intorno a cui si muoveranno altri progetti e così via… intanto stiamo a vedere e cerchiamo di proseguire con la nostra ricerca».