I Cccp hanno fatto pace con la (loro) storia. Se ne esce plasticamente persuasi dopo aver attraversato i due piani di Felicitazioni, Cccp Fedeli alla linea 1984-2024, la mostra in corso da due settimane e fino all’11 febbraio ai Chiostri di San Pietro, nella loro Reggio Emilia.

Luogo più adatto era difficile trovare: la dimensione mistica del chiostro nel quale fa bella mostra di sè una Trabant assieme a un check point Charlie in miniatura con gli altoparlanti che sparano in loop il primo album berlinese della band assieme agli stanzoni ampi del primo piano sono ribaltate nel labirinto da centro sociale anni Novanta del secondo dove è facile perdersi nei meandri di stanzoni e stanzette spoglie sapientemente riempite di installazioni e schermi. Una stanza per album sotto, spazi diversificati con tematiche globali sopra.

LE FOTO DI LUIGI GHIRRI nella Villa Pirondini che ospitò la realizzazione dell’ultimo album e gli articoli di Pier Vittorio Tondelli sull’Espresso che raccontano il fenomeno sociale «del curioso interesse per l’Urss» vanno ad arricchire un racconto cronologico che scandisce l’incredibile storia di un gruppo musicale nato a Berlino e con radici forti e fiori involontari nell’Emilia paranoica del consumismo imperante e del comunismo calante.

Felicitazioni! CCCP Fedeli alla linea 1984-2024, Chiostri di San Pietro, foto di Michele Lapini

Giovanni Lindo Ferretti, Massimo Zamboni, Annarella (Giudici) e Fatur (artista del popolo Danilo) sono i «reduci» che hanno voluto ricostruire e psicanalizzare il loro percorso di vita, trovando pace con esso e con tutti coloro che li hanno seguiti dal di fuori, innamorati entrambi di un’esperienza unica e irripetibile: usare il mito comunista della rossa Emilia pragmatica e opulente per denunciare una società diventata costrittiva, «sazia e disperata», riuscendo allo stesso tempo ad essere costantemente all’avanguardia grazie al Dna socialista e partigiano.

Usarono il mito comunista della loro opulente regione per denunciare una società diventata costrittiva. E allo stesso tempo furono avanguardia grazie al dna socialista e partigiano

L’amore per la terra propria, la stessa del socialismo utopico di Camillo Prampolini e del comandante partigiano Aldo “Jacopo” Cucchi definito poi nel ’51 «pidocchio nella criniera di un nobile cavallo da corsa” da Togliatti, hanno portato alle «divergenze» di un gruppo di punkettoni in cui le individualità lontanissime dei loro fondatori – Ferretti figlio dell’appennino bigotto, Zamboni della pianura ortodossa – si sono forgiate nello schianto del comunismo reale e nella ribellione verso chi voleva trascinarci dentro anche l’Emilia.

La celebrazione di «Battagliero», la «canzone più emiliana e politica» per loro stessa ammissione, è un riappacificarsi con chi ne ha visto (sbagliando) una relativizzazione della lotta partigiana, mentre era una denuncia verso chi già si preparava a tradire quella storia gloriosa di cui si sentivano figli.

L’EVOLUZIONE LI HA PORTATI all’incontro con un’altra cultura – quella toscana dei fuori usciti dei Litfiba Giorgio Maroccolo, Francesco Magnelli, Ringo De Palma più il romagnolo Giorgio Canali – e all’elevazione al punto più alto della loro parabola musicale con Epica Etica Etnica Pathos del 1990, poi continuata con perfino più alto respiro nei Csi (Consorzio suanatori indipententi) in buona parte dominati dal pensiero del partigiano bianco Beppe Fenoglio.

Proprio il concetto-ossessione di «linea» è il sunto dell’evoluzione: «la linea non c’è» e tutto va ricostruito partendo da se stessi, sebbene consci della storia comune da cui si viene nella certezza che tutto «è una questione di qualità», anche se non si «ricorda più bene».

SORPRENDE CONSTATARE che l’aspetto trascendente, mistico, perfino cattolico che porterà alla deriva Ratzingheriana di Giovanni Lindo è sempre stato presente nei Cccp. L’ultraterreno è un elemento costante da Islam punk alle preghiere che dominano il titolo e buona parte di un intero album (Canzoni preghiere danze del II millennio – Sezione Europa).

CHI LI CONSIDERA(VA) ROZZI dovrebbe riascoltare i testi in cui si passava dall’affiancare i suicidi Mishima e a Majakóvskij – lodati e accomunati sebbene il primo fosse un nazionalista giapponese – oppure la profondità dell’analisi della sapienza in Aghia Sophia.

Fra i visitatori le fazioni pro Zamboni o pro Ferretti che si erano create al momento della rottura fra i due ad inizio degli anni Duemila sono superate. Più che la nostalgia, prevale il rispetto per i percorsi umani che hanno portato entrambi ad esplorare i campi della letteratura per poi reincontrarsi di nuovo, adulti in un mondo totalmente cambiato ma altrettanto da cambiare.
Va sottolineata ad esempio l’esperienza di Giovanni Lindo come educatore psichiatrico in un centro di salute mentale, ricordata in una stanza fra le più riuscite del secondo piano.

I chiostri di San Pietro luogo adatto. Fin dagli esordi il gruppo ha sempre trattato il mistico con profondità. E il secondo piano sembra un centro sociale degli anni Novanta

L’ironia e l’autoironia è un altro tratto che definisce il percorso dei Cccp. La televendita stile Aiazzone del proprio album, l’esibizioni e l’intervista con Amanda Lear nel programma più commerciale mai dedicato alla musica: il Superclassifica show di Maurizio Seymandi.

Con l’autoinvenzione della definizione «Fedeli alla lira» i Cccp hanno saputo affrontare l’accusa (fondata) di essersi venduti al mercato che tanto detestavano e denunciavano. La sezione dedicata ai tanti articoli scritti pro (pochissimi) e contro (moltissimi) di loro testimonia come il mondo underground di allora facesse notizia solo quando era blasfemo, mentre in gran parte le loro provocazioni non erano per niente capite dai giornali conservatori.

AI GIOVANI CHE OGGI si avvicinano a quei suoni e a quei testi magari tramite versioni improbabili di Amandoti – celebrate in modo laico in una sala apposita – la visita della mostra va consigliata per apprezzare al meglio le radici e l’evoluzione costantemente inaspettata di quei quattro punkettoni che si esibivano andando spesso oltre i limiti della loro stessa rabbia sociale, il masochismo e il pubblico ludibrio. E magari per appropriarsi di un motto ancora completamente attuale: «Produci, Consuma, Crepa». E magari finire fermati dalla polizia come capita al giovane cinese che canta nella sua lunga «Io sto bene» in una piazza di Shangai.

Ai meno giovani piacerà invece sfidarsi a riconoscere le gigantografie dei presidenti degli stati del Patto di Varsavia a cui è dedicata la stanza più scenografica della mostra.

Il cerchio è chiuso. E non va riaperto con inaccettabili reunion. Sarebbe un tradimento, sarebbe la fine della storia.