Catherine Bizern, il cinema contro il senso di catastrofe
Festival Intervista alla direttrice di Cinéma du Reel, che si apre stasera nell’incertezza dell’emergenza sanitaria: «Nei film di quest’anno ricorre un interrogarsi su come vivere nel mondo oggi, come abitarlo diversamente, in che rapporto alle altre specie, la terra e gli animali»
Festival Intervista alla direttrice di Cinéma du Reel, che si apre stasera nell’incertezza dell’emergenza sanitaria: «Nei film di quest’anno ricorre un interrogarsi su come vivere nel mondo oggi, come abitarlo diversamente, in che rapporto alle altre specie, la terra e gli animali»
La 42° edizione del Cinéma du Réel di Parigi si apre stasera in un clima di incertezza dovuta all’emergenza sanitaria mondiale che coinvolge anche la Francia a pochi giorni dalle amministrative e con il ministro della cultura Franck Riester in quarantena perché positivo al contagio. L’inaugurazione è prevista in contemporanea con il discorso di Macron che, ipotizzano alcuni, potrebbe sancire il passaggio della Francia allo stadio 3 dell’epidemia con possibili restrizioni agli eventi pubblici. La direttrice del festival Catherine Bizern cerca di tenere in piedi la manifestazione: «Molti stranieri sono ora obbligati a disdire i loro viaggi ed è un peccato ma è importante prendere atto della situazione attuale senza rimanere vittime di scenari emergenziali già scritti, inventando dei modi per rapportarci con quel che accade di giorno in giorno. Un festival è fatto di convivialità, di visioni condivise e discussioni a cui teniamo molto. Trovo che circoli un desiderio di narrazioni catastrofistiche e noi non possiamo accettarle passivamente».
Il festival si aprirà con «Calamity Jane & Delphine Seyrig: A Story» di Babette Mangolte, omaggio a una figura di cui recentemente si è riparlato molto anche con la mostra di Lille e Madrid tematizzando il rapporto tra cinema e attivismo femminista.
Seyrig attivista è, insieme a Carole Roussopoulos, parte della storia del cinema e del video militante come anche il gruppo Medvedkine o Ciné-luttes. Abbiamo chiesto a Babette Mangold di montare le immagini che aveva realizzato nel 1987 negli Usa durante i sopralluoghi di quello che doveva essere un film a soggetto scritto da Seyrig sulla figura di Calamity Jane a partire dalle sue lettere con la figlia. Attraverso le idee che aveva su Calamity Jane, una donna non atrofizzata, madre e amante, libera e poco incline a compromessi con il patriarcato, Seyrig riflette anche su di sé e ci fa un gran regalo oggi in tempi di dogmatismi e di conflitti interni al femminismo stesso.
Perché il focus «Face au pouvoir» ragiona sul potere comprendendo anche film non strettamente documentari?
Rivendico il termine «documentario», che preferisco a non-fiction, e più lo rivendico più posso proiettare anche finzione. Nel cinema m’interessano soprattutto le forme, come i cineasti decidono di rapportarsi al potere e agli uomini di potere, e la finzione è una risposta al fascino del potere. Hitler e Ludwig di Syberberg o La presa del potere di Luigi XIV di Rossellini su questo sono fondamentali ed è stato un piacere poter affiancare Rossellini alla Mort de Louis XIV di Serra: il lavoro di programmazione ha a che fare anche con il giocare per associazioni e confronti oltre che col gusto.
Come sono stati scelti i tre omaggi a Pedro Costa, Mosco Boucault e Fernand Deligny?
L’omaggio a Deligny mi è sembrato indispensabile nel momento in cui abbiamo pensato a come il cinema si rapporta con il «noi», è una figura tutelare del festival di quest’anno perché ha trovato un modo personale di fare causa comune. In un festival che pensa l’avvenire del documentario e dialoga con la memoria, i vent’anni di Nella stanza di Vanda di Costa ci consentono di ripercorrere i film che lui ha fatto dopo con persone incontrate nel quartiere di Fontainhas e che rendono la distinzione tra doc e fiction non pertinente. Con Boucault volevo invece proporre una retrospettiva su un cineasta che si rifà molto al direct cinema, che usa il repertorio, le interviste, che lavora per la tv e che allo stesso tempo trasforma persone in personaggi dalla statura mitologica.
Quali interrogativi e forme ricorrenti nelle sezioni competitive?
Forse non ci sono forme ricorrenti anche perché con il comitato scegliamo ogni titolo per la sua particolarità e non per affermare una linea editoriale. Vogliamo che ciascun film porti un’ipotesi su cosa sia il cinema, senza dare una risposta univoca. Certo, ricorrono da alcuni anni l’uso e la distorsione di repertori digitali, di immagini costruite al computer o di videogiochi. Quest’anno poi ci sono diversi film engagés ma che adottano forme molto differenti tra loro. E c’è un interrogarsi continuo su come abitare il mondo oggi, come abitarlo diversamente, in che rapporto alle altre specie, alla terra e agli animali.
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