Caterina Barbieri: «La mia musica fra elettronica e malinconia»
Il NODE Festival di Modena (7-9 dicembre) è arrivato alla sua undicesima edizione riconfermandosi tra le più interessanti rassegne di musica elettronica sperimentale e linguaggi audiovisivi, del territorio italiano. A chiusura della manifestazione, la performance della compositrice bolognese Caterina Barbieri insieme al duo di producer inglesi Space Afrika.
Con l’artista abbiamo parlato di questa collaborazione poco prima della sua esibizione. Un connubio per certi versi inedito visto i diversi stili dei protagonisti.
«Abbiamo approcci diversi sì ma in comune c’è l’uso della ripetizione e dei loop. Loro hanno una formazione britannica molto improntata sui campionatori, io invece non li ho mai usati lavorando molto coi synth modulari. Inoltre, per quel che mi riguarda, il mio approccio alla forma è diverso dal loro. Solitamente concepisco un brano come una composizione, loro invece sono più minimali. Quello che ci ha unito è l’idea di musica come catarsi e la stessa volontà di materializzare nei suoni emozioni molto malinconiche. Abbiamo uno paesaggio emotivo simile, di dolore commisto all’euforia e al romanticismo in senso classico. Per Space Afrika chiaramente parliamo di un mood legato alla cultura della diaspora africana con l’idea di processare emozioni legate a quella Storia. Nel mio caso invece la malinconia è più una contemplazione del sublime con delle ramificazioni mitteleuropee».
“Ho uno stile di scrittura molto chitarristico, utilizzo pattern veloci e intricati che a differenza del pianoforte non hanno un sostegno armonico lungo”
RISPETTO al passato, la performance di Caterina Barbieri questa volta si è arricchita di sonorità diverse, di un ritorno alla chitarra, già sperimentato nel disco Spirit Exit del 2022, strumento che la compositrice ha studiato fin da ragazzina.
«Non ho mai usato chitarra nei miei album precedenti, quelli che hanno definito il mio suono – come Born Again In The Voltage e Ecstatic Computation – però lo studio della chitarra classica ha sempre forgiato il mio modo di concepire la musica. Ho uno stile di scrittura molto chitarristico, utilizzo pattern veloci e intricati che a differenza del pianoforte non hanno un sostegno armonico lungo. Dunque ho declinato quel tipo di approccio con i synth modulari. Fino a poco tempo fa volevo suoni sintetici, forse per schermare la mia emotività con un suono alieno, quasi cyborg. Ultimamente invece mi sono sentita finalmente pronta a togliermi queste armature da robot».
Un’ultima riflessione anche sull’etichetta Light Years fondata da Caterina nel 2021 e che di recente, oltre ai suoi dischi, ha pubblicato il bellissimo Sky Flash di Marta De Pascalis.
«L’idea della label è nata durante la pandemia come risposta al trauma. Ho scritto tantissima musica in quel periodo ma mi mancava il feedback del mondo reale. Il mio pensiero musicale nasce dalla condivisione con il pubblico e volevo esplorare un formato più collettivo ed essere indipendente il più possibile. Piuttosto che lavorare con etichette che non danno libertà totale, ho preferito fare questo passo, come del resto stanno facendo molto miei colleghi».
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento