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Castellina-Vendola: cinema teoria e pratica

Castellina-Vendola: cinema teoria e praticaDa «Una giornata particolare»

L'intervista Luciana Castellina a colloquio con Nichi Vendola, a pochi giorni da Venezia 80

Pubblicato circa un anno faEdizione del 26 agosto 2023

Luciana Castellina:
Caro Nichi, io penso che un Festival del cinema come quello di Venezia, il più importante e il più ufficiale del nostro paese (e non solo) dovrebbe includere fra i suoi tanti premi una speciale attestazione all’istituzione che più ha aiutato, magari in anni di crisi, l’affermazione del nostro cinema, che certo dipende dalla qualità dei suoi artisti, registi, attori e sceneggiatori, ma anche da una meno visibile qualità: la sensibilità politica e culturale di chi, pur non essendo né attore né regista né sceneggiatore, ha però capito quanto sia importante per una comunità esser rappresentata con sensibilità e intelligenza: e che questo avvenga tramite uno strumento così popolare come è il cinema. E, se quel premio fosse già esistito, io l’avrei dato alla regione Puglia e a te che quando ne sei stato presidente, con un’efficacia senza pari, ti sei impegnato proprio a creare lì quella struttura, a fare un investimento strategico sul cinema. Magari per fare anche film in cui il sud d’Italia non fosse solo una cartolina delle vacanze o uno spot patinato. E il cinema poi è stato un grande successo economico e culturale per la tua regione. Sono curiosa di capire cosa ti abbia spinto a fare una scommessa così forte sul cinema. Insomma: perché il cinema?

Nichi Vendola:

Intanto grazie per le parole di apprezzamento di ciò che fu innanzitutto un grande lavoro collettivo, dentro una stagione di grandi speranze e di grandi cambiamenti, quella che venne chiamata «Primavera pugliese». Certo, il cinema è stato sempre per me un chiodo fisso, poterlo scegliere come bandiera e come progetto era un impegno molto serio. Per una ragione semplice: perché il cinema può portare insieme ricchezza civile e nuova economia. Perché il cinema è un’industria dell’innovazione, un vettore di costruzione dello spirito pubblico, una mescolanza di competenze e di talenti, un bene comune. Perché è una fabbrica, una scuola, un centro di ricerca, connette tutte le discipline artistiche e i saperi tecnologici, chiede e offre lavori e abilità, ci tira fuori dalla provincia e dal provincialismo. A condizione che non si tratti di promuovere il folclore e l’improvvisazione. Quando io ho vinto le elezioni regionali era un momento di crisi del cinema, Cinecittà al tramonto era come un monumento funebre e sembrava preannunciare la resa alla colonizzazione americana dell’industria dell’audio-video e del cinema. Eppure io parlavo con tanti ragazzi pugliesi che correvano a iscriversi al Dams di Bologna o al Centro sperimentale di cinematografia a Roma. Vedevo a ogni latitudine della mia regione, da Carpino fino a Leuca, una energia potente, uno straordinario fermento culturale, che era stato ignorato o reso caricaturale dalla destra che aveva governato prima di me. E allora noi, che fummo l’espressione politica ma poi un moltiplicatore di quel fermento, vedemmo che c’era uno spazio, una domanda prevalentemente giovanile di creatività e di futuro: e decidemmo di rispondere, di osare, di inventare strutture e infrastrutture per insediare l’industria del cinema. E non solo cinema, ma anche della musica, dello spettacolo. Per me personalmente investire in cinema è stato come una restituzione: dico una banalità, non sarei ciò che sono senza Ladri di biciclette o Roma città aperta o Rocco e i suoi fratelli o Amarcord o I soliti ignoti o La Ciociara o Una giornata particolare o i film di Antonioni, di Pasolini, di Bertolucci, e così via. Con una postilla di questi tempi purtroppo necessaria: quella storia è tanto più grande e feconda quanto più è forte la garanzia di autonomia intellettuale, di libertà di espressione, di diritto inalienabile al dissenso e al pensiero critico dei lavoratori e delle lavoratrici del cinema e in generale dello spettacolo, oggi minacciati dai processi di precarizzazione del lavoro.

Luciana Castellina:
Non è un caso che proprio in Europa, come già notava Marx, cioè proprio nel modello sociale che più di ogni altro ha conservato una distanza dalla totale sudditanza al mercato introdotta dal capitalismo, si sia lottato strenuamente per affermare che la cultura non è una merce come un’altra. Dovrebbe essere evidente, visto che un frigorifero fabbricato a Los Angeles è più o meno uguale a un frigorifero fabbricato a Milano, mentre la stessa cosa non si può dire per un film, segnato inevitabilmente dal proprio contesto storico e geografico. Sembrerebbe ovvio, sebbene quando sono stata presidente della Commissione culturale del Parlamento europeo abbia dovuto condurre un’aspra battaglia per impedirne la mercificazione, cavallo di troia per imporre una liberalizzazione degli scambi anche per la specialissima merce-cultura che avrebbe inesorabilmente ammazzato il cinema europeo. I tentativi ripetuti degli Stati Uniti di impedire ogni speciale «eccezione» per i film nelle trattative dell’Organizzazione mondiale del Commercio furono definite dal presidente Mitterrand addirittura «genocidio culturale». E così infatti era ed è tutt’ora sia pure in misura minore grazie alla conquista di quella che è stata chiamata «eccezione culturale».

Nichi Vendola:
Ed è stata un battaglia cruciale. Il cinema è parte integrante di noi, del nostro vissuto, del nostro parlato, ci racconta, ci deforma, ci informa, ci stupisce, ci commuove, ci educa alla forma e al colore, alla prospettiva e alla introspezione, ci aiuta ad oltrepassare il varco dei luoghi comuni per correre liberi e per restare umani.
Certo, può esserci anche un cinema di propaganda, una cinematografia di regime, ma il grande cinema ovunque nel mondo sfida la censura e apre brecce di pensiero critico e di libertà. Più che dalla deriva propagandistica, il cinema rischia di essere svuotato dalla voracità commerciale e mercantile dei grandi padroni di tutto; degli studi, delle case di produzione, delle aziende della distribuzione, persino dei cinema nelle multisale: con l’idea malata che la qualità è un rischio d’impresa troppo grosso il cinema d’autore rischia di deperire. Per questo Il cinema italiano ha un posto speciale nella storia del cinema: perché siamo stati un esempio. La nostra memoria storica e il nostro senso di comunità, la nostra identità nazionale, dopo il ventennio dell’oppressione e della retorica fascista, si sono forgiate anche a cinema, con i film del cosiddetto neo-realismo e poi dopo con l’irruzione sugli schermi del Sessantotto, del grande salto dall’Italia rurale a quella industriale, della rivoluzione nei costumi e nella sessualità.
E tutto il nostro dopoguerra, fino alla fine del secolo, fino alla liquidazione sbrigativa del Novecento in questi primi due decenni del Duemila, è stato attraversato e riflesso dalle generazioni di cineasti che si sono susseguite nel segno dell’impegno civile e della ricerca estetica. Con risultanti spesso incoraggianti, talvolta sorprendenti.

Luciana Castellina:
In concreto in cosa è consistita la vostra strategia per il cinema, quali azioni, quali strumenti avete messo in campo, cosa avete costruito? Ti faccio questa domanda anche perché i rivoluzionari vengono spesso accusati di essere inconcludenti chiacchieroni.

Nichi Vendola:
Noi, sotto la sapiente regia della mia assessora regionale alla cultura (e alla pace e al mediterraneo) Silvia Godelli, abbiamo costruito una sorta di distretto produttivo legato al cinema, operando in più direzioni. Abbiamo chiamato Felice Laudadio, un protagonista di prestigio internazionale nel circuito dei festival, tra l’altro un barese che tornava a casa, per progettare e dar vita al Bifest, il festival del cinema di Bari, che, con la direzione artistica di Ettore Scola, del nostro immenso Ettore, è divenuto un festival di straordinario successo. Che si è aggiunto agli altri festival pugliesi importanti come quello del Cinema Europeo di Lecce o quello del documentario Festa di Cinema del Reale. Abbiamo poi dato vita all’Apulia film commission, che ha studiato le altre film commission e che nel giro di poco tempo ha attratto produzioni cinematografiche e televisive da tutto il mondo. Il cinema ha tolto il velo dell’invisibilità e dell’anonimato alla Puglia. Anche per questa scelta la Puglia ha fatto il botto, è entrata nell’immaginario globale, si è affermata come un brand di qualità nel mercato turistico internazionale. E, last but not least, abbiamo dato vita all’esperienza dei cine-porti, cioè di luoghi attrezzati per accompagnare la nascita di un film nei nostri «studios», con maestranze che si andavano formando ai mestieri del cinema accanto a tecnici di livello. Se posso aggiungere una nota di contesto: con i fondi europei noi abbiamo prodotto un poderoso processo di infrastrutturazione socio-culturale del territorio regionale. 151 giganteschi immobili abbandonati e degradati (caserme, scuole, fabbriche, mattatoi, cinema) sono stati rigenerati e trasformati in «laboratori urbani»: luoghi multifunzionali, in cui sperimentare nuova e buona economia, costruire segmenti di socialità solidale: dentro questi laboratori ci sono teatri, cinema. scuole, palestre, centri di produzione audio-video, falegnamerie a altre cento cose inventate da giovani e giovanissimi ma spesso anche discutendo con adulti e anziani.

Luciana Castellina:
Fra qualche giorno sarai a Venezia dove, nella sede delle Giornate degli Autori, al Lido, presiederai la giuria del premio «Bookciak, Azione!» dedicato ai corti sperimentali ispirati ai libri. E con te in giuria saranno Wilma Labate, Teresa Marchesi e Gianluca Arcopinto. Mi ha colpito questa relativamente nuova categoria di film: prima si facevano film tratti dai romanzi, ora è più difficile capire da cosa si parte. Quanto a me penso che in Italia si distingua un genere speciale: non il documentario, che è altra cosa, ma quello che chiamano «le cinéma du réel», un cinema di realtà. Nel senso che mi pare che qui ci siano siano i film migliori. E allora ti chiedo: i romanzi suggeriscono meno di un tempo? O magari la realtà è diventata così mutevole che incuriosisce più di qualsiasi fantasticheria?

Nichi Vendola:
«Bookciak» è ormai una esperienza consolidata di rapporto tra libri e macchina da presa (o videocamera del cellulare). Libri di editori indipendenti e di autori giovani, sono l’ispirazione o il pretesto dei corti che vengono presentati in concorso, anch’essi opere giovanili. Che la realtà spiazzi ogni giorno la fantasia è un fatto che possiamo osservare empiricamente, e purtroppo spesso pare prevalere il genere apocalittico; ma in ogni caso credo che la letteratura, i grandi romanzi, continueranno a diventare sceneggiature e film.

Luciana Castellina:
Litigando con il presidente dei produttori hollywoodiani, Jack Valenti, nello sforzo di tutelare l’autonomia e l’indipendenza del cinema europeo, usavo parole sconosciute al mio interlocutore. E lui mi rispondeva secco e perentorio: «il cinema non è quello che dici te, il cinema è uno sporco affare di soldi». Diceva proprio così: dirty business of money. Ovviamente ho replicato con tutta la passione che ho. Tuttavia il cinema e la cultura sono anche merce, il cinema è un prodotto industriale. Ma il suo valore di scambio veicola un’onda di valori d’uso, la formazione della coscienza e del gusto, la crescita culturale: tutte cose che non hanno prezzo. E che ci fanno scommettere sul futuro del cinema. O sui cinema del futuro…

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