«Cassandra», una voce oltre il tempo contro la guerra
Teatro Carlo Cerciello rilegge il testo di Christa Wolf, protagonista Cecilia Lupoli. Una regia che interroga attraverso la performance dell'attrice il voyeurismo dello spettatore di fronte al dolore
Teatro Carlo Cerciello rilegge il testo di Christa Wolf, protagonista Cecilia Lupoli. Una regia che interroga attraverso la performance dell'attrice il voyeurismo dello spettatore di fronte al dolore
Con questo racconto vado nella morte, comincia a dire la Cassandra di Christa Wolf mentre viene trascinata al macello. La principessa troiana, la veggente figlia di Ecuba e Priamo condotta come schiava a Micene dal vincitore Agamennone, conosce la sorte che l’attende al di là della soglia che ha davanti. Il saperlo le mette paura. E il racconto è uno srotolare a ritroso il filo della propria vita. Dai dieci anni della guerra a quelli della giovinezza, l’orrore per il corpo degli uomini, la volontà di diventare a ogni costo sacerdotessa del dio, il dono della veggenza desiderato ardentemente. Racconto molto amato quando fu pubblicato, all’inizio degli anni ottanta del secolo scorso, nel suo intrecciare liberazione femminile e rifiuto di ogni guerra, giacché ogni guerra può essere solo perduta, suona quasi profetico oggi che lo ritroviamo al teatro Elicantropo, grazie alla bella prova del regista Carlo Cerciello.
L’artefice dello spettacolo e l’attrice che ne è interprete, Cecilia Lupoli, hanno lavorato per sei mesi alla riduzione del testo della scrittrice tedesca a partire dall’autunno scorso. Ammorbidendone i salti temporali, concentrando ciò che sulla pagina può distendersi e qui diventa invece un secco rincorrersi dei pensieri che non hanno più tempo, sono parole in cerca di qualcuno che le tramandi a chi verrà. Di donna in donna. Parole che chiedono di farsi corpo. E certo la risonanza è forte con il momento che si sta vivendo, la guerra in Ucraina, con il delirio bellicista di chi invoca più armi e la chiusura per decreto di ogni opinione dubbiosa. Vidi una notizia farsi verità, a ciò che si è ripetuto spesso alla fine si crede – dice Cassandra. Sembra descrivere la propaganda in cui siamo immersi.
MA IL SENSO del lavoro di Cerciello trascende questa occasione. Non solo perché il grido di rivolta di Christa Wolf ha un significato molto più ampio. Prima dell’ultima ci sono state altre guerre, ci dice. Altre spedizioni navali, altre imprese, interessi economici, tradimenti; e poi congiure di palazzo, indicibili segreti di stato, quando un dubbio basta per scoprirsi fra i sospettati di favoreggiamento al nemico. C’è il riemergere del sentimento del tragico. Fare la prova del dolore, pungere la memoria per verificare se è insensibile.
Il regista ha calato la protagonista in una sorta di stretto sentiero che si stende diritto fra due pareti, al di là delle quali stanno due file di spettatori, affacciati a una lunga finestra vetrata. Un percorso che si estende fra due poli temporali, il passato che le sta alle spalle e il prossimo futuro che ha di fronte. Verso cui procede a fatica. Le funi elastiche a cui è legata la tirano indietro, e sono corde che la legano alla vita, di cui un poco alla volta si libererà. La struttura scenica richiama deliberatamente quella di un peep show, cioè mette in questione il voyeurismo dello spettatore di fronte al dolore.
Ma più forte, più dolorosa appunto, è la percezione improvvisa che siamo noi spettatori i greci, siamo noi gli uomini e le donne di Micene che dall’alto di una posizione un po’ rialzata spiano le convulsioni della preda di guerra fra il timore della sua fama e l’oltraggio al nemico vinto. Un po’ come avveniva con le Troiane messe in scena da Thierry Salmon sui ruderi di Gibellina, tanti anni fa. Del resto siamo sempre lì, dalle parti di Euripide più che Eschilo, di fronte a una tragedia capace di guardare alla storia con gli occhi dell’altro.
DUNQUE è con un po’ di imbarazzo che guardiamo l’emotiva performance della giovane bravissima attrice. Cui Cerciello ha sottratto ogni tentazione mimetica. Stretta in un body nero, i capelli rossi raccolti in una treccia sulla nuca, sembra una creatura un po’ aliena o un folletto punk, mentre va avanti e indietro nell’ambiente sonoro creato da Paolo Coletta, che alterna momenti romantici al crescendo quasi rockettaro. Racconta sogni tormentosi dai quali ci si sveglia urlando, con in bocca un sapore ripugnante. Racconta l’odio per Achille la bestia, che aveva visto strozzare il fratello Troilo che si messo in salvo davanti al simulacro del dio. Quel dio che le aveva dato il dono della veggenza, e insieme la condanna a non essere creduta. Dirai il vero ma nessuno ti crederà. Il grido inutile, fermate le armi. Una guerra condotta per un fantasma, può essere solo perduta.
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