Caso Scieri, prime verità dopo 21 anni
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Caso Scieri, prime verità dopo 21 anni

La storia La procura militare di Roma chiude le indagini sulla morte nell’agosto 1999 del giovane parà di leva siracusano: tre ex caporali della Folgore verso il processo per omicidio pluriaggravato
Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 13 maggio 2020

«Io ho sempre pensato che era stato un atto di nonnismo assurdo». Isabella Guarino, la mamma di Emanuele Scieri, dà voce a un sentimento collettivo. Perché tanti avevano capito che il giovane parà di leva siracusano, trovato cadavere all’interno della caserma Gamerra di Pisa il 16 agosto del 1999, a tre lunghi giorni da una «assenza», registrata al contrappello delle 23 del 13 agosto, era stato ucciso da alcuni «nonni» della Folgore. Ma ci sono voluti ventuno anni per arrivare all’avviso di chiusura delle indagini della procura generale militare di Roma.

Un avviso notificato ad Andrea Antico, caporalmaggiore dell’Esercito oggi in servizio a Rimini, Alessandro Panella e Luigi Zabara, caporali in congedo. Per loro il reato contestato dai procuratori generali militari Marco De Paolis e Isacco Giorgio Giustiniani è quello di violenza a inferiore mediante omicidio pluriaggravato, in concorso. Sono accusati «di aver cagionato con crudeltà la morte dell’inferiore in grado allievo-paracadutista Emanuele Scieri».

LA RICOSTRUZIONE della procura militare non è dissimile da quella, quanto mai preziosa, della commissione parlamentare di inchiesta – guidata fra il 2016 e il 2017 da Sofia Amoddio del Pd e Stefania Prestigiacomo di Fi – grazie alla quale il «cold case» dell’omicidio Scieri è stato riaperto dalla procura di Pisa e, appunto, da quella militare di Roma.

Tutto accade «tra le ore 22.30 e le 23.45 del 13 agosto 1999», quando i tre caporali si imbattono in Scieri, «che stava per effettuare una chiamata con il suo telefono cellulare, poco prima di rientrare negli alloggiamenti del reparto di appartenenza per ottemperare all’obbligo imposto alle reclute». Il contrappello delle 23.

I TRE GRADUATI, effettivi al Car della Gamerra, fermano Scieri e gli rinfacciano «di aver violato le disposizioni che, per ragioni di disciplina, gli vietavano di utilizzare il telefono cellulare». Poi, esercitando un abuso di autorità, gli intimano «di effettuare subito numerose flessioni sulle braccia e, mentre le eseguiva, lo colpivano con pugni sulla schiena e gli comprimevano le dita delle mani con gli anfibi, per poi costringerlo ad arrampicarsi sulla scala di sicurezza della vicina torre di prosciugamento dei paracadute, dalla parte esterna, con le scarpe slacciate e con la sola forza delle braccia».

MENTRE SCIERI stava risalendo la torre, «veniva seguito dal caporale Panella che, appena raggiunto, per fargli perdere la presa, lo percuoteva dall’interno della scala e, mentre il commilitone cercava di poggiare il piede su uno degli anelli di salita, gli sferrava violentemente un colpo al dorso del piede sinistro; così facendo, a causa dell’insostenibile stress emotivo e fisico subito, provocato dai tre superiori, Scieri perdeva la presa e precipitava al suolo da un’altezza non inferiore a 5 metri, in tal modo riportando lesioni gravissime». Quelle che l’autopsia rilevò essere fratture alla sesta vertebra dorsale, oltre a traumi vari alla testa e ad altre parti del corpo.

Dopo la caduta, Panella, Antico e Zabara, «constatato che il commilitone, sebbene gravemente ferito, era ancora in vita», invece di soccorrerlo «lo abbandonavano sul posto agonizzante», e così «ne determinavano la morte». Morte che «il tempestivo intervento del personale di sanità militare, da loro precluso, avrebbe invece potuto evitare».

Dato per «assente» il 13 agosto, nonostante che i camerati di leva avessero detto che era tornato in caserma con loro, Emanuele Scieri viene trovato cadavere il 16 agosto, nascosto alla meglio sotto la torre di prosciugamento, a meno di cinque metri dal muro di cinta della Gamerra, di prassi pattugliato internamente ed esternamente.

PER CERTO all’alba del 15 agosto il generale comandante della Folgore, Enrico Celentano, arriva a Pisa per una ispezione. Una ispezione ritenuta dai pm pisani Crini e Restuccia davvero insolita, sulla quale Celentano non ha mai dato spiegazioni. Nemmeno alla commissione parlamentare. Per il generale ora pende in procura a Pisa, nell’inchiesta parallela (in chiusura) che vede i tre caporali accusati di omicidio volontario, un’accusa di favoreggiamento e di false informazioni al pm. Celentano, autore all’epoca dello «Zibaldone» con motti, lazzi e machismi da parà, non è stato indagato dalla procura militare.

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