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Caso Pasolini

Caso Pasolini

Gli sviluppi Come leggere un documento iconico

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 30 marzo 2019

Quando Pino la Rana si era inventato una vita da barman in un baretto del Testaccio, andava sciorinando un’infinità di nomi, quasi in modo irrefrenabile, dimostrando palesemente di non capire l’enormità di quello che andava dicendo. Il nome più eclatante che fece fu quello di Jacques Berenguer del Clan dei Marsigliesi e fu lui, unitamente a due picchiatori neofascisti, a massacrare lo scrittore. Sui due neofascisti Pelosi fu reticente soprattutto, credo, per la scarsa consistenza dei nomi. Uno dei due, oggi deceduto, era tale Giorgio Capece. Pluriomicida, viveva a Donna Olimpia e conosceva bene lo scrittore il quale, al pari del Pinna, lo frequentava per ragioni linguistiche. Molte voci concordano nel dire che Capece fosse nel gruppo di fuoco che fece fuori Renatino De Pedis: la moglie di Renatino lo aveva appreso direttamente da qualcuno che aveva fatto parte del disegno criminoso. Conosciamo il nome dell’altro, tuttora vivente, sappiamo dove risiede e di cosa si interessa ma non possiamo citarlo finché il suo nome non sarà suffragato da prove più convincenti. Se la nostra pista è giusta però avvalorerebbe la tesi sostenuta da Maccioni e Rizzo (e Ruffini) nel loro mirabile saggio (Nessuna pietà per Pasolini). Costoro non erano personaggi di spicco della fascisteria. Pelosi fece chiaramente i nomi dei componenti del manipolo: Jacques Berenguer, Giorgio Capece, i fratelli Borsellino, Antonio Pinna, il prosseneta Sergio Placidi e l’altro. A dire il vero non menzionò mai Giuseppe Mastini, alias Johnny lo Zingaro del quale aveva un terror panico, ma chi scrive è certo della sua presenza desunta da dichiarazioni documentali agli atti.
Escludiamo inoltre che fosse Pelosi ad entrare al «Biondo Tevere». Il biondino con le caratteristiche descritte dall’oste Vincenzo Panzironi era persona diversa dalla Rana: ‘i capelli biondi mossi lunghi fino alle spalle’ non appartenevano a uno che aveva al contrario una folta capigliatura di capelli ricci castani. Il biondino, che aveva tatuato sull’avambraccio la frase: «amo mamma» aveva un altro nome. Ci riserviamo di farlo una volta che le relative verifiche ne avranno supportato la veridicità ma, soprattutto, risulta ancora poco chiara la funzione di costui; probabilmente nessuna, più semplicemente era il complotto a prevedere Pelosi in compagnia dello scrittore in trattoria.
Certamente Acilia costituì il meeting point dei vari attori. Pasolini incontrò Pelosi in una piazzola di sosta sull’Ostiense, il segno convenuto per i congiurati fu l’impellenza di Pelosi di orinare; uscire dall’auto, simulare la minzione e ‘raccogliere’ così il grosso della truppa senza che lo scrittore si accorgesse del raggiro.
ED ECCOCI ALLA FOTO
Dante Filacchione era ufficialmente responsabile di una biblioteca periferica, sposato con Anna Maria Cavola, figlia di un dirigente ENI. Elemento non peregrino, il nome di Cavola comparirà in una lista di 120 nomi in possesso di Pasolini la cui divulgazione era temuta da chi accelerò le operazioni e mandò a morte il regista. Al n.1 troviamo un personaggio ambiguo, tale Pasquale Esposito, coinvolto in precedenza in loschi affari. Contrassegnati dai numeri 5,6 e 8 figurano Barbieri, Selis e Abbatino, futuri sodali della Banda della Magliana. Abatino ha sempre negato di aver avuto a che fare con l’omicidio e, addirittura, di figurare nella foto. La persona contrassegnata dal n.8 è invece proprio Abatino, riconosciuto insieme a Selis e Barbieri da più di una persona facente parte dello stesso milieu, e da altri ancora provenienti da altre esperienze. Ci corre l’obbligo di dire che non abbiamo mai dichiarato che Crispino fosse coinvolto nell’affaire ma abbiamo sempre ribadito che la presenza concomitante di tre dei futuri affiliati della Bandaccia ponesse più di un interrogativo. Passi per Selis che all’Idroscalo ci viveva ma Abatino abitava alla Magliana insieme ai genitori, persone rispettabilissime che avevano un commercio di oggetti sacri. In assenza di cellulari, come ci capitava all’Idroscalo, di prima mattina (la foto fu scattata dalle 9 alle 10), una persona che abitava ad almeno un’ora di macchina dalla scena del crimine? Senza dimenticare che alcuni di quelli che costituiranno la Banda già lavoravano alle dipendenze del Clan. Ed eccoci alla figura più inquietante contrassegnata dal n.7, ‘er Ciancia’ , malavitoso ucciso poi in un conflitto a fuoco, al servizio del massone Santovito, Generale dei Servizi Segreti, di cui oggi siamo in grado di fare il nome: Mario de Santis, noto nel sottobosco della malavita solo con il suo nickname (uno che parlava troppo). De Santis, a detta di alcuni confidenti, è presente sulla scena del crimine di altri omicidi eccellenti nella funzione di jolly.
Berenguer, come pure Bergamelli, era protetto e comandato dalla P2. Quella notte, dopo il ‘servizio’, trovò riparo in una casa amica ad Ostia, dove ebbe il tempo di riposare, di smaltire gli effetti della coca,di prendere un bagno caldo e di cambiare d’abito (l’allora proprietario dell’appartamento, nome di spicco della malavita, risultò comunque estraneo alla mattanza).
Al n.9 l’Albino, teppistello di periferia che insieme a Scimmietta e ad altri sequestrarono per ore il giornalista RAI Diego Cimara per ottenerne una sorta di riscatto. Non è peregrino pensare che anche Scimmietta fosse presente quella notte all’Idroscalo. La Polizia lo trovò infatti la stessa notte morto al volante di un’ Alfa dello stesso modello dell’auto di Pasolini, schiantato contro il muro di cinta della casa di Tognazzi a Torvajanica. Le forze dell’ordine non collegarono i due avvenimenti ma la coincidenza è singolare.
LA NOVITÀ
L’elemento di novità -di novità sottolineo se non datasse da 4 anni- è un’intervista di Graziella Chiarcossi rilasciata al La Repubblica (30/10/2015) alla quale nessuno ha mai fatto riferimento o prestato attenzione in cui la cugina del poeta dichiarava di aver ricevuto la notte del 2 novembre la visita di due agenti di Polizia che le comunicavano di aver rinvenuto sulla Tiburtina l’auto del congiunto. Gli agenti erano stati incuriositi dall’auto perché aveva gli sportelli aperti. Alla luce di questa rivelazione prende vieppiù corpo l’esternazione che fece allo scrivente Sandro Capotosto, Capitano dei CC, allora nei Servizi Segreti: Cuzzupé e Guglielmi non avevano fermato Pelosi quella notte mentre sfrecciava sul lungomare di Ostia contromano ma ,su ordine dei superiori, lo avevano arrestato in via dell’Idroscalo, appena uscito dalla sterrata dove si era consumato il massacro. Johnny lo Zingaro infatti fugge dal teatro delle operazioni alla guida dell’Alfa di Pasolini accompagnato da Pelosi; questi ha un conato di vomito e chiede di fermare la macchina. I CC,già in posizione, lo fermano subito dopo aver visto l’auto allontanarsi. Notizia recente ma importantissima, pare che una testimone abbia riconosciuto Giuseppe Mastini in visita a Pelosi morente. Prenderebbe corpo l’idea che Mastini sia fuggito dal carcere di Fossano non per seguire un vecchio amore (che, alla luce di questo, avrebbe poi finito per essere un ottimo alibi) ma per mettere sull’avviso il suo sodale di un tempo imponendogli la consegna del silenzio anche in limine mortis. Ci siamo espressi al condizionale ma conosciamo la testimone e cercheremo di appurarne l’affidabilità.
P2 E SERVIZI
Il cerchio così si chiude. P2 e Servizi si unirono nella determinazione di eliminare chi aveva individuato in Cefis il mandante dell’omicidio di Mattei e di chi conservava nella sua cassaforte 120 nomi illustri coinvolti nei peggiori affari della Repubblica. Ne conosciamo 12, conservati nelle mani di un notaio in attesa di una pubblicazione più esaustiva e definitiva. Va dato atto a chi architettò il massacro di aver visto giusto nella pruderie del pubblico ‘adulto’ che per anni volle credere alla narrazione di un uomo che aveva trovato la morte (anche Zigaina fu tratto in inganno) nell’ assecondare vizi inconfessabili.

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