Caso Palamara, Area e Md contro la liaison Pd-M5S-Lega
Le toghe progressiste criticano la lettura «meritocratica» che mette d’accordo tutti. Resta in bilico il destino dell’attuale Consiglio superiore della magistratura
Le toghe progressiste criticano la lettura «meritocratica» che mette d’accordo tutti. Resta in bilico il destino dell’attuale Consiglio superiore della magistratura
Il «caso Palamara» mette d’accordo maggioranza pentaleghista e opposizione dem all’insegna di una parola-simbolo dell’ideologia neoliberale: meritocrazia. Tutti a invocarla per una «riforma» del Csm tale da evitare il ripetersi di scandali come quello scoperchiato dall’inchiesta di Perugia: il problema – secondo il ministro Alfonso Bonafede e il Pd per bocca di Luigi Zanda – starebbe nell’eccessivo peso delle correnti a danno dei magistrati meritevoli e a vantaggio di quelli trafficoni. Il comodo passepartout del «merito» è utilizzato sia per abbozzare un diverso sistema di elezione dei togati dell’organo di autogoverno, sia per suggerire nuovi criteri di selezione dei capi di procure e tribunali.
Peccato che la vicenda che agita i palazzi di giustizia non c’entri con la carenza di meritocrazia. A ricordare i veri problemi sono stati, ieri, gli interventi di apertura del congresso nazionale di Area, il gruppo delle toghe progressiste di cui fa parte Magistratura democratica: quelli della segretaria Cristina Ornano e di Luigi Ferrajoli.
Non è la presunta forza, ma la debolezza delle correnti ad aver permesso la strumentalizzazione delle associazioni dei magistrati «da parte di alcune lobby che se ne sono servite per fini propri», ha affermato Ornano. Una debolezza che è frutto «di una crisi che ha colpito i corpi intermedi, partiti tradizionali, sindacati, gruppi associati, oggetto di una campagna di delegittimazione che li addita all’opinione pubblica come centri di potere dediti alla cura di interessi particolari contro l’interesse generale». Quella disintermediazione cara, allo stesso modo, a Matteo Renzi e ai 5Stelle.
E poi, l’altro nodo: il carrierismo, che si alimenta proprio attraverso la gara a vedersi riconosciuti «titoli di merito» per venire nominati capi di procure e tribunali. Ma «la carriera è un male», ha sostenuto Ferrajoli richiamando quel principio di uguaglianza che deve valere fra i magistrati «come fra i docenti». Se è inevitabile che esistano vertici degli uffici, per ridurre «l’elemento perverso» insito in tale necessità occorre «la riduzione del potere dei capi». In particolare di quei capi che contano davvero, cioè i procuratori della repubblica resi molto più forti da una riforma del governo Berlusconi che ha gerarchizzato gli inquirenti.
Ai propugnatori del «potere ai meritevoli» andrebbe chiesto di illustrare il profilo del giudice e del pm degno di tale riconoscimento. La qualità andrebbe misurata sul numero delle sentenze redatte, indipendentemente dal loro contenuto? Sulla partecipazione a convegni e sugli articoli pubblicati, Salvini permettendo? Sulla specializzazione in un campo del diritto o sulla capacità di ricoprire diversi ruoli? Domande a cui è impossibile rispondere. Così come risulta assurdo pensare che un fantomatico sistema elettorale che valorizzi le qualità professionali possa indurre i magistrati a scegliere rappresentanti migliori al Csm: un raffinatissimo giurista potrebbe essere ritenuto totalmente incompetente sulla gestione della macchina-giustizia, che è ciò di cui si occupa l’organo di autogoverno. Per evitare clientelismi e pratiche inconfessabili servirebbe, invece, il ripristino di un sistema di elezione dei togati a Palazzo dei marescialli che sia proporzionale per liste concorrenti, come propongono Area e Md in coraggiosa controtendenza.
In attesa degli annunciati interventi, resta in bilico il destino del Csm in carica. Oggi si riunisce l’assemblea nazionale di Magistratura indipendente (Mi), la corrente di destra feudo del deputato renziano (e giudice in aspettativa) Cosimo Ferri, accompagnatore di Luca Lotti agli incontri con Palamara e con i consiglieri del Csm coinvolti nello scandalo. Tre dei quali, Cartoni, Lepre e Criscuoli, attualmente «autosospesi», sono proprio di Mi. Una parte della corrente – la sezione della Cassazione – chiede che tornino al loro posto, esprimendo «totale solidarietà». Ma anche Pasquale Grasso, il segretario dell’Anm, è di Mi: da lui, invece, era arrivata nei giorni scorsi la richiesta delle loro dimissioni. Oggi si capirà qual è la vera linea della corrente. E, di conseguenza, il futuro della consiliatura in corso.
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