Caso Nicosia, noi Radicali siamo la parte lesa
Noi siamo la parte lesa in questa storia. Antonello Nicosia era iscritto a Radicali Italiani. Antonello Nicosia era, fino allo scorso mandato, membro del Comitato di Radicali Italiani. Tutto vero, […]
Noi siamo la parte lesa in questa storia. Antonello Nicosia era iscritto a Radicali Italiani. Antonello Nicosia era, fino allo scorso mandato, membro del Comitato di Radicali Italiani. Tutto vero, […]
Noi siamo la parte lesa in questa storia. Antonello Nicosia era iscritto a Radicali Italiani. Antonello Nicosia era, fino allo scorso mandato, membro del Comitato di Radicali Italiani. Tutto vero, ma la vicenda che lo riguarda apre il sipario su qualcosa di molto più profondo per noi.
Negli articoli, nei notiziari e, immancabilmente, nei commenti social di questi giorni, infatti, la relazione tra le visite in carcere di Nicosia e l’azione mafiosa diventa quasi automaticamente la relazione tra le visite in carcere da parte di chi si batte per i diritti di tutti e, manco a dirlo, la mafia.
Il primo collegamento, se accertato, costituisce un reato gravissimo; il secondo è, già ora, un attentato allo Stato di Diritto. L’attività ispettiva nelle carceri persegue lo scopo di verificare le condizioni di vita negli istituti penitenziari del paese e di tutelare i diritti dei detenuti e dell’intera comunità penitenziaria: agenti, direttori, assistenti sociali, medici e volontari. Il senso più profondo e politico delle visite – da parte di chi ha tale prerogativa e di chi chiede al ministero della giustizia di poterle effettuare – è quello di presidiare uno dei passaggi più delicati nello spazio dei diritti e delle libertà e cioè quando un cittadino si trova in custodia, nelle mani dello Stato, in un contesto non pubblico e difficilmente accessibile. Lì, più che in qualsiasi altro posto, lo Stato deve essere diritto. Presidiare quei luoghi per i Radicali ha sempre voluto dire difendere lo Stato di Diritto. Per tutto questo la nostra attività di visita alle strutture carcerarie proseguirà, se possibile con maggiore impegno.
Ai Radicali si sono rivolte – e spesso iscritte – persone condannate che hanno scontato la loro pena e persone che la stanno ancora scontando. Questo però significa solo che nei Radicali trova spazio e prende corpo l’articolo 27 della Costituzione, in particolare nella parte in cui prevede che le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Corollario di tutto questo ragionamento è che non può esistere distanza più grande tra chi radica la propria politica sulla vita del diritto e chi il diritto lo viola.
Rispetto alla vicenda di Nicosia, aspettiamo che le accuse vengano accertate in tribunale. Portare tale valutazione fuori dalle aule di giustizia significa la gogna e la gogna è per noi la barbarie. Ma sono gli stessi magistrati che si sono premurati di chiarire che l’impegno politico e sociale dietro cui si sarebbe nascosta l’attività criminale è “sicuramente ispirato a nobili e lodevoli principi”.
In Radicali Italiani questi principi ispirano la vita associativa. L’iscrizione è annuale, chiunque può farlo. Non ci sono indagini preventive o postume. Il movimento è responsabile per la sua politica e per le scelte prese collettivamente. Per le scelte individuali esiste il limite esterno della legge e l’opera della magistratura. A quanti nelle scorse ore si sono affrettati a fare collegamenti arditi tra la nostra attività ed eventuali responsabilità personali o precisazioni maligne col tentativo di gettare ombre sul nostro movimento, non dobbiamo altro che questa risposta.
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