Caso marò, New Delhi «non si oppone al rientro»
Italia / India Roma ha chiesto un rimpatrio di due o tre mesi a causa delle condizioni di salute del marò Latorre
Italia / India Roma ha chiesto un rimpatrio di due o tre mesi a causa delle condizioni di salute del marò Latorre
L’udienza relativa alla richiesta avanzata dai legali di Massimiliano Latorre per un rimpatrio in Italia per motivi di salute segna un passo in avanti nella diatriba che da quasi mille giorni vede impegnate le diplomazie italiana e indiana attorno alle accuse di duplice omicidio mosse contro i fucilieri Girone e Latorre.
Latorre, colto domenica 31 agosto da un attacco ischemico transitorio nella sua residenza all’interno dell’ambasciata italiana a New Delhi, nel weekend è stato dimesso dall’ospedale della capitale indiana, avendo risposto positivamente alle cure somministrate.
Nonostante il quadro clinico sia in netto miglioramento, come riferiscono le fonti mediche raggiunte dall’Ansa, i legali di Latorre avevano inoltrato alla Corte suprema la richiesta di un rimpatrio «di tre o quattro mesi», per «consentire un suo più rapido e completo ristabilimento».
Nella giornata di ieri i giudici della massima corte indiana hanno acconsentito a valutare l’istanza italiana, rimandando la decisione definitiva sul tema alla prossima udienza, fissata per venerdì 12 settembre. Entro quella data l’accusa dovrà presentare le proprie eventuali riserve o meglio, secondo quanto riportato dalla stampa nazionale, dovrà specificare se ci siano «serie obiezioni alla richiesta del marine convalescente».
A strettissimo giro, e a sorpresa, durante una conferenza stampa è arrivato un segnale da parte della ministra degli Esteri Sushma Swaraj che, rispondendo a una domanda dell’Ansa, ha chiarito: «Per motivazioni umanitarie, non ci opporremo alla richiesta davanti alla Corte suprema. Se la Corte gli permetterà di andare, lo lasceremo andare». Swaraj ha però specificato, rispetto alla possibile apertura di una trattativa diplomatica per raggiungere una conclusione definitiva del caso Enrica Lexie, che «la questione è già in mano ai tribunali. Si deve andare attraverso il processo giudiziario».
Le parole della ministra riaffermano la volontà del governo Modi di non farsi trascinare in un braccio di ferro politico, da un lato facilitando l’opera di persuasione italiana – in assenza del fardello di «italianità» di Sonia Gandhi che complicava la posizione ufficiale della precedente amministrazione – ma dall’altro lasciando completamente la questione nelle mani della giustizia indiana, con la quale Roma vanta, nel caso marò, precedenti allarmanti.
Le modalità burocratiche della richiesta di rimpatrio di Latorre, infatti, ricalcano precisamente quelle della licenza accordata dalla Corte suprema ai due fucilieri in occasione dell’ultima tornata elettorale italiana, quando l’ambasciatore italiano in India Daniele Mancini firmò una lettera di undertaking facendosi garante personale del ritorno dei marò in India. Nel marzo del 2013, il tentativo di contravvenire agli impegni presi e bloccare il rientro dei marò in India, ad opera del Ministero degli Esteri italiano guidato da Giulio Terzi di Sant’Agata, portò a una crisi diplomatica senza precedenti tra India e Italia, con le minacce della Corte suprema di sospendere l’immunità diplomatica di Mancini.
L’Italia si riaffida dunque alla clemenza della Corte, nella speranza che l’incidente di marzo sia già stato messo alle spalle.
La Ministra della Difesa Roberta Pinotti si è detta «molto preoccupata […]se la situazione fosse stata facile, l’avremmo già risolta», ripresentando le due strade percorribili dalla diplomazia di Roma: o dialogo diplomatico – alla luce delle parole di Swaraj, quantomeno improbabile – o internazionalizzazione del caso e coinvolgimento dell’Onu, rivendicando la giurisdizione esclusiva italiana in base all’immunità funzionale che, secondo l’Italia, dovrebbe essere garantita ai marò in missione sulla Lexie.
Opinione che l’India ha sempre rigettato, contestando l’applicazione delle tutele riservate ai militari in missione nel caso – come quello della petroliera italiana – facciano veci di contractor a difesa della proprietà privata, non dello Stato Italiano.
Riguardo la dinamica dell’incidente e le testimonianze dell’equipaggio della petroliera, proprio ieri il quotidiano Hindustan Times ha riportato le dichiarazioni di un funzionario del Ministero degli Interni indiano, anonimo. La fonte ha svelato al giornale che Umberto Vitielli, capitano della Lexie, avrebbe confessato agli inquirenti della National Investigation Agency (Nia) di non aver assistito in prima persona all’incidente e agli spari e di aver scritto la mail di rapporto indirizzata alle autorità internazionali antipirateria «dietro pressioni» dei marò. «Il piano era quello di presentare i pescatori come dei pirati», si legge nella dichiarazione del funzionario riportata sul quotidiano indiano.
La Nia, tramite un portavoce, ha deciso di non commentare l’indiscrezione, spiegando che «i capi d’accusa saranno depositati quando la questione [della giurisdizione] sarà risolta davanti alla Corte suprema indiana».
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