Entro il 2030 i paesi dell’Unione Europea potrebbero essere obbligati a ristrutturare due case su tre al fine di eliminare il 36% delle emissioni di gas a effetto serra e ridurre il 40% del consumo energetico. In cambio i proprietari potrebbero risparmiare fino al 25% di bollette luce e gas.

Gli obiettivi sono stati stabiliti da una proposta di direttiva europea che fa parte del pacchetto «Fit for 55» che risale al dicembre 2021. La presidenza di turno svedese dell’Unione europea vorrebbe farla approvare durante il suo mandato, cioè entro il prossimo giugno. Il primo voto sul provvedimento ribattezzato «case green» è atteso il 9 febbraio nella commissione Industria dell’Europarlamento, ma il percorso si annuncia accidentato. La prima votazione è slittata a causa dei 1500 emendamenti al testo presentato dal relatore irlandese Ciaran Cuffe (Verdi europei) che ha introdotto tra l’altro anche maggiori tutele sociali per i proprietari finanziati dal Fondo sociale per il clima e dai finanziamenti del Recovery Fund.

Tra sette anni tutti gli immobili residenziali nel continente dovranno rientrare nella classe energetica E. Tre anni più tardi, nel 2033, sarà obbligatorio passare alla classe D. Per arrivare alle emissioni zero al 2050. Il taglio dei consumi energetici dovrebbe essere ottenuta attraverso interventi come il cappotto termico, la sostituzione degli infissi, le nuove caldaie a condensazione, i pannelli solari.

Nella bozza di testo in discussione non sono state previste limitazioni alla vendita o all’affitto della case per chi non si sarà procurato il «bollino verde» europeo. Toccherebbe comunque ai governi decidere le sanzioni da applicare e l’automatica perdita di valore degli immobili prevista per spingere i proprietari a ristrutturare. Da tale obbligo sarebbero stati esclusi gli interventi sulle case di vacanza, sui palazzi storici tutelati, chiese e altri edifici di culto, appartamenti inferiori ai 50 metri quadrati.

Solo in Italia gli edifici interessati da un simile piano potrebbero essere oltre 9 milioni su 12,2 milioni. Il 74% degli immobili è stato realizzato prima dell’entrata in vigore della normativa completa sul risparmio energetico e sulla sicurezza sismica. Gli attestati di prestazione energetica emessi nel 2020 si riferiscono, nel 75,4% dei casi, a immobili nelle classi più inquinanti, E, F, G.

Le ambizioni del piano, le incerte modalità di finanziamento, i rischi di creare una bolla immobiliare, di bloccare il credito, e ancora di creare diseguaglianze tra i proprietari che possono permettersi la spesa e quelli che sono impossibilitati a sostenerla per la crisi hanno prodotto i primi sussulti politici. In Italia per esempio si temono «effetti devastanti» derivanti dall’obbligo di ristrutturare, in pochi anni, milioni di edifici residenziali, tensioni «senza precedenti» sul mercato delle ristrutturazioni, «una perdita di valore della stragrande maggioranza degli immobili e, di conseguenza, un impoverimento generale».

Fratelli d’Italia ha parlato di «eco-patrimoniale europea», temono che le spese gravino sulle tasche dei proprietari e hanno chiesto al loro governo di difendere «una Nazione a proprietà immobiliare diffusa». È stata presentata una risoluzione in Parlamento per cercare di bloccare l’iter in Europa. I costruttori hanno chiesto soldi agli Stati per garantirsi «incentivi statali mirati e stabili». Nonostante i blocchi e le contraddizioni prodotte dal dispendioso e problematico «Superbonus» i Cinque Stelle hanno immaginato di farne uno più grande. Il Pd si è detto sensibile al fatto che non tutti potrebbero permettersi spese gravose in tempo di crisi e hanno chiesto all’Ue di finanziare un fondo di sostegno. Contraddizioni politiche e sociali nell’emergenza climatica.