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Case delle donne vs Raggi: «Serve un riconoscimento politico»

Case delle donne vs Raggi: «Serve un riconoscimento politico»La maschera da "luchadora" sulle statue della capitale in solidarietà alla Casa delle Donne Lucha y Siesta

Spazi femministi Inizia la trattativa con il Comune per la Casa Internazionale delle Donne, annunciato invece il distacco delle utenze per Lucha y Siesta. Oggi alle 16 in Campidoglio un presidio per chiedere risposte chiare

Pubblicato più di 4 anni faEdizione del 18 febbraio 2020

È una corsa a ostacoli quella che si trovano a percorrere gli spazi femministi nella Roma dell’amministrazione Raggi. Due luoghi storici, dal riconosciuto valore sociale e culturale, come la Casa Internazionale delle Donne e la Casa delle donne Lucha y Siesta saranno di nuovo oggi davanti al Campidoglio per chiedere una risposta netta sul futuro delle loro sedi. In molte scenderanno in piazza al loro fianco, come i centri anti-violenza della rete DiRe, il nodo romano di Non Una Di Meno e, come annunciato da una nota, anche la Cgil di Roma e Lazio.

DUE CASI DIFFERENTI in tempi recenti entrambi coinvolti da minacce di sgombero alternate da aperture al dialogo, alternate ancora da lunghi silenzi istituzionali. Lo stabile di Via della Lungara, occupato nel 1987 dal movimento femminista e in seguito riconosciuto dalle autorità capitoline, rischia lo sfratto da Agosto 2018, quando il Comune ha revocato la convenzione di usufrutto, premendo affinché l’associazione no profit pagasse gli arretrati del canone di affitto, che ammonta a oltre settemila euro al mese.

DOPO UN LUNGO SCONTRO si è arrivati all’apertura di un tavolo di trattativa il cui primo round c’è stato lo scorso giovedì, in presenza della sindaca Raggi. «Siamo contente del fatto che dopo oltre un anno di attesa sisia aperto un confronto, ma quello che chiediamo non è soltanto una negoziazione economica, vogliamo che gli spazi delle donne siano riconosciuti politicamente e che sia applicato un canone agevolato per tutti, per questo domani saremo in piazza» afferma Maria Brighi, portavoce della Cid.

DIVERSA MA ALTRETTANTO aggrovigliata è la situazione di Lucha y Siesta, casa rifugio per sopravvissute alla violenza maschile i cui locali di Roma est, che fanno parte del patrimonio inutilizzato di Atac, sono stati messi all’asta. Di fronte alla minaccia di sgombero della scorso settembre le occupanti e attiviste hanno attivato una campagna di solidarietà e aperto un crowfunding proponendosi come possibili acquirenti dello spazio e chiedendo il diritto di prelazione all’asta.

 

LA RILEVANZA DI UN PERCORSO di contrasto alla violenza di genere nella città i cui i servizi sono a dir poco sottodimensionati, è stata riconosciuta anche dalla regione Lazio, che ha dichiarato di voler stanziare un fondo per acquistare l’immobile e consentire la prosecuzione del progetto. Sembrerebbe un lieto fine se non ci fosse di mezzo l’assenza di una linea politica intellegibile da parte della forza politica che governa la città. Poche settimane fa infatti è arrivato il dietrofront del Comune che ha annunciato di voler subentrare nell’acquisto dell’immobile previa liberazione degli spazi dalle attuali presenze. Da qui l’ultimatum: il 20 febbraio saranno staccate le utenze.

«UN GRUPPO DI ARTISTE e artisti che partecipano alla campagna “Diamo Lucha alla città” ieri ha fatto indossare la maschera da lottatrice a diverse statue della capitale. I monumenti che di solito sono muti hanno preso posizione anche loro di fronte alla gestione scellerata di questa amministrazione» racconta Simona, attivista della casa rifugio e continua «Oggi siamo sotto al Campidoglio e nel frattempo va avanti la raccolta fondi e il lavoro congiunto con la regione per una Lucha y Siesta 2.0, ripensata nell’ottica dei beni comuni».

LA MANCANZA DI VISIONE POLITICA del M5S su un tema cruciale come quello dell’autonomia femminile si era già palesata in più occasioni. L’ultima lo scorso 5 febbraio quando Raggi aveva esultato con un twit all’emendamento del Milleproroghe avanzato di Pd e Iv che chiedeva lo stanziamento di 900.000 euro per saldare il debito della Casa Internazionale delle Donne.

Il giorno dopo era arrivata come una scure la dichiarazione di inammissibilità dell’emendamento da parte della Commissione Affari costituzionali e Bilancio, presieduta proprio dagli esponenti del suo stesso partito. In questo scenario intricato l’unica certezza inossidabile è che le donne saranno di nuovo in piazza.

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