La galassia della destra radicale
Far right Intervista al politologo olandese Cas Mudde, autore di «The Far Right Today»: come forze marginali hanno finito per essere normalizzate, divenendo il centro della politica in molti paesi
Far right Intervista al politologo olandese Cas Mudde, autore di «The Far Right Today»: come forze marginali hanno finito per essere normalizzate, divenendo il centro della politica in molti paesi
Parlando dal palco di piazza San Giovanni lo scorso 19 ottobre, alla manifestazione unitaria della destra italiana, Matteo Salvini aveva garantito che «qui non ci sono estremisti», ma semplicemente «italiani orgogliosi di essere italiani». In realtà una piccola (ma significativa) componente di «estremisti» – tra militanti di CasaPound e sbandieratori di vessilli della Repubblica Sociale Italiana – c’era eccome.
E nemmeno gli interventi principali, a ben vedere, sono stati così moderati. Il governatore del Veneto Luca Zaia, ad esempio, ha detto che bisognerebbe «togliere il galateo alle forze dell’ordine e consegnare il manganello». Matteo Salvini e Giorgia Meloni hanno poi tratteggiato il ritratto un paese allo sbando, invaso da «rapinatori, stupratori e terroristi» che vengono da fuori, corrotto dalla «teoria del gender» e alle soglie di una «sostituzione etnica» ordita da «burattinai internazionali» (George Soros, naturalmente).
I leader di Lega e Fratelli d’Italia hanno attinto a parole d’ordine nate in ambienti molto precisi, che sempre più fungono da serbatoio di idee e suggestioni. Ora, la saldatura tra i partiti della destra conservatrice e i movimenti radicali è avvenuta da tempo in Italia, ed è stata in qualche modo rivendicata da Silvio Berlusconi («Lega e fascisti li ho fatti entrare io al governo»); il punto è che sempre più normalizzata. E non è una particolarità solo italiana, anzi: nessun paese ne è immune.
Questo fenomeno globale è al centro dell’ultimo saggio del politologo olandese Cas Mudde, The Far Right Today (edito da Polity, non tradotto in italiano). Il professore dell’University of Georgia – nonché uno dei massimi esperti di populismo in Europa – ritiene che siamo nel pieno di una «quarta ondata», contraddistinta dall’erosione dei confini tra i partiti conservatori e liberali (mainstream right) e quelli più radicali (far right), caratterizzati dall’«accettazione dell’essenza della democrazia, ma dall’opposizione agli elementi fondamentali della democrazia liberale come i diritti delle minoranze e la separazione dei poteri».
In sostanza, dice Mudde, oggi la destra radicale è «strettamente legata al centro politico» – quando non è direttamente essa stessa il centro. Gli abbiamo fatto qualche domanda per capire come e perché siamo arrivati a questo punto.
Cosa intende per «quarta ondata» della destra radicale, e quando è iniziata? Quali sono le differenze con quelle che l’hanno preceduta?
La quarta ondata è cominciata all’inizio del 21esimo secolo, principalmente come conseguenza dell’11 settembre – evento che ha messo al centro dell’agenda politica questioni socio-culturali come l’identità, l’immigrazione e la sicurezza. Ciò ha portato allo sdoganamento e alla normalizzazione della destra, sia in termini di partiti che soprattutto di politiche concrete. Nonostante molti dei partiti populisti di destra siano gli stessi della «terza ondata», che è durata all’incirca dal 1980 fino al 2000, adesso sono molto più rilevanti a livello elettorale e politico.
Da un lato abbiamo Johnson che su Brexit sta subendo una sconfitta dopo l’altra, mentre da noi Salvini non è più al governo; dall’altro, però, Orbán è saldamente al potere e il Brasile ha eletto uno dei leader più estremi e autoritari di sempre. Insomma, qual è lo stato della destra radicale?
Se guardiamo i dati elettorali, possiamo dire che la destra radicale sia più forte che mai. Allo stesso tempo, è sempre più diversificata al suo interno. Abbiamo presidenti di destra radicale a capo di partiti non radicali (Bolsonaro e Trump); partiti radicali di lungo corso, come il BjP indiano o il Rassemblement National francese; e nuovi partiti come Chega in Portogallo e Vox in Spagna. Ci sono poi partiti conservatori che sono diventati radicali (Fidesz in Ungheria) e partiti direttamente fascisti come Kotleba in Slovacchia. Molti di questi sono ormai al governo, oppure sono potenziali alleati di coalizione; pochi sono quelli ancora ostracizzati, come gli Svedesi Democratici.
Parlando di elezioni, le ultime consultazioni in Austria sono state interpretate come una battuta d’arresto per la destra radicale – soprattutto per il risultato deludente di FPÖ. Ma possiamo davvero parlare di sconfitta? Dopotutto, le differenze tra il premier Sebastian Kurz e Heinz-Christian Strache non sono poi così marcate.
Ci sono almeno due motivi per andarci cauti su questa supposta sconfitta. Il primo è che FPÖ ha perso 16 punti a causa del grosso scandalo che ha coinvolto il suo leader Strache, ma rimane comunque il terzo partito austriaco. Il secondo è che Kurz, pur distanziandosi da FPÖ, ne ha adottato le parole d’ordine e le politiche: non si è affatto moderato. Quindi, anche se il partito di destra radicale austriaco è più debole rispetto a 20 anni fa, le sue proposte politiche sono più forti e fanno ormai parte del repertorio della destra tradizionale. E questo lo si può vedere in molti altri paesi, tra cui il mio, l’Olanda.
A proposito di questa ascesa elettorale, pensa che i partiti social-democratici e di sinistra abbiano in qualche modo aiutato la destra radicale, adottando certe posizioni su sicurezza e immigrazione?
Sì, in molti paesi i partiti socialdemocratici lo hanno fatto con diverse gradazioni: moderatamente in Germania o nel Regno Unito, e più convintamente in Danimarca. In Italia il Pd, pur non facendo del tutto propri certi frame della destra radicale, ha certamente approvato politiche autoritarie e nativiste sull’immigrazione. E sebbene i socialdemocratici italiani siano stati abbandonati dall’Ue, avrebbero dovuto occuparsi della tragedia umanitaria dei richiedenti asilo piuttosto che tamponare presunte crisi amministrative e politiche «causate dall’immigrazione».
Nel suo libro scrive che «anche se i partiti della destra radicale populista dovessero tornare ai margini, il sistema partitico non tornerà mai alla stabilità». Come mai?
La crescita della destra radicale fa parte di una più ampia trasformazione della politica europea, che ha reso il sistema molto più volatile. Questo ha a che fare con cambiamenti strutturali dell’economia e della società, come il declino della classe lavoratrice o la secolarizzazione, e l’emersione di nuovi temi come l’ambiente e l’immigrazione. Ci dobbiamo dunque confrontare con un elettorato molto individualista, che matura si orienta in base ai temi che dominano l’agenda politica.
Normalmente, i leader della destra radicale odiano i media pur facendone ampio ricorso (Salvini e Trump sono gli esempi più clamorosi). Qual è il ruolo dei media in tutto ciò?
I media mainstream, molto più dei social, hanno avuto un ruolo di primo piano nella normalizzazione della destra radicale. Di fatto, concentrandosi ossessivamente su crimine, corruzione e immigrazione, hanno impostato l’agenda per loro; in più, hanno concesso uno spazio spropositato alla destra radicale, facendoli sembra molto più popolari e importanti di quello che erano davvero. Infine hanno praticamente regalato una piattaforma ai leader di estrema destra, alcuni dei quali sono stati molto abili ad usarla.
La destra radicale è solitamente associata al sessismo, al familismo, all’omofobia, agli attacchi ai diritti delle donne, e a teorie del complotto come «l’ideologia gender». Tuttavia, alcuni leader della destra radicale sono donne; e in certi casi, il profilo del leader maschile non ha nulla a che vedere con il mito dell’“uomo forte”. Qual è il ruolo del genere nell’attuale destra radicale?
Uno degli aspetti più interessanti della quarta ondata è la complessità che assume il genere al suo interno. Per alcuni i ruoli tradizionali e una certa idea di mascolinità sono ancora predominanti – basti pensare a Bolsonaro, Salvini e Trump. Altri invece sono più moderni, come Marine Le Pen o Geert Wilders del PVV, seppure risultino decisamente «tradizionali» una volta calati nel loro contesto nazionale. C’è anche un nuovo tipo di destra radicale misogina, particolarmente forte in rete (come l’alt-right), che è anche violentemente sessista.
Visto che ha citato l’alt-right, qual è la relazione tra la destra radicale partitica e i movimenti extraparlamentari più estremi? Pensa che i primi – con le loro retoriche d’odio e di intolleranza – fomentino fenomeni di violenza politica, su tutti il «terrorismo bianco»?
Finora gli attentati di estrema destra sono stati commessi da attentatori singoli, virtualmente collegati alla destra radicale online. I partiti esercitano un’influenza limitata. Detto ciò, le teorie del complotto sulla «grande sostituzione etnica» o su George Soros circolano tranquillamente sia nei forum dell’estrema destra che sui media conservatori. Non credo però che la violenza dell’estrema destra sia destinata a crescere, visto che è già piuttosto alta; probabilmente si organizzerà meglio. Anche perché la maggior parte delle democrazie sta prendendo sottogamba questo pericolo, rinunciando ad affrontarlo con la serietà e l’urgenza che merita.
I consigli di mema
Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento