Nei nostri tempi la parola «critica» vive un’epoca poco felice. Da un lato, nelle istituzioni politiche ed economiche è completamente dimenticata in nome di un realismo che tutela lo status quo e nega ogni domanda di cambiamento. Dall’altro lato, nei social media la critica è dilagante, ma è utilizzata in modo generico e aggressivo, in quanto espressione di pulsioni narcisistiche e di desideri di onnipotenza dell’«io» che sono però funzionali alla riproduzione e alla struttura gerarchizzata della società digitale.

EPPURE LA «CRITICA» ha una sua importante funzione sociale e politica che dovrebbe essere recuperata, in quanto da sempre luogo dell’autonomia e dell’emancipazione attraverso la sua capacità di liberarci dalle coercizioni e dalle ideologie. Già Marx definiva la critica come «autochiarificazione del nostro tempo in relazione alle sue lotte e ai suoi desideri». Poi Lukács, Bloch, Adorno e altri hanno approfondito questa linea, sulla quale oggi ci conduce nuovamente a riflettere Roberto Mordacci con il suo libro Critica e utopia: da Kant a Francoforte (Castelvecchi editore, pp. 188, euro 19,50).
Nel suo lavoro Mordacci distingue quattro forme diverse che la critica ha assunto nella filosofia moderna e contemporanea – critica trascendentale (Kant e Habermas), critica dialettica (Hegel, Marx, Horkheimer, Honneth), critica genealogica (Nietzsche e Foucault), critica messianica (Benjamin e Marcuse) – per poi indagare cosa rimane della teoria critica nei nostri giorni e in autori quali Rahel Jaeggi, Rainer Forst, Alessandro Ferrara e Hartmut Rosa. Al di là di queste distinzioni, l’obiettivo di ogni teoria critica consiste nell’analisi delle effettive dinamiche sociali in modo da metterne in luce le contraddizioni nella loro genesi e nel loro sviluppo: in poche parole, ogni teoria critica mira a smascherare le ideologie che fungono da giustificazione di legittimità delle pratiche economiche e politiche dominanti.

IN QUESTA DIREZIONE, la critica non comporta solo un’analisi delle strutture sociali, perché punta a elaborare processi di trasformazione politica, siano essi riformatori o rivoluzionari. Ed è allora su questo obiettivo che si innesta la questione dell’utopia, che costituisce l’altro punto focale del libro di Mordacci. Apparentemente, l’utopia non sembra ben comporsi con la teoria critica, che l’ha sempre considerata solo come un appello morale e una vuota astrazione, dunque incapace di procedere a un’analisi scientifica del sociale e delle leggi storiche che presiedono al cambiamento politico ed economico. Nonostante ciò, Mordacci – a ragione – insiste sulle capacità dell’utopia di rianimare speranze ed energie sociali represse, proponendosi così come una versione innovativa della critica (definita come «critica utopica») in grado di colmare uno dei difetti strutturali della teoria critica, cioè la sua debolezza propositiva e immaginativa nel tracciare un’alternativa.

Naturalmente, per un tale obiettivo, è necessario comprendere lo sguardo utopico in un’ottica costruttiva, che provi a immaginare un’azione politica concreta, non limitandosi a una vaga allusione ad altri mondi. Analisi, possibilità, progettualità e azione sono pertanto le parole chiave della critica utopica, in cui il carattere desiderante dell’utopia rimanda a una concezione «aperta» dell’agire individuale e sociale, contro ogni immagine dell’esistente cristallizzata in una concezione chiusa e determinata della realtà.

LA CRITICA UTOPICA ci dice dunque che – se non vogliamo chiudere ogni spazio di progettualità sociale e politica e vivere in un «eterno presente» – oggi dobbiamo fare i conti proprio con una nuova interpretazione del potenziale critico ed emancipativo dell’utopia, in modo da definire le principali trasformazioni in grado di rovesciare le contraddizioni sociali individuate dalla teoria critica.
Questa richiesta di concretezza della critica utopica rischia di rinviare all’infinito ogni prospettiva radicalmente rivoluzionaria che pretenda di disegnare una nuova totalità sociale, ma certamente permette di guadagnare spazi per una concreta realizzabilità di progetti inattesi, davvero innovativi nella struttura sociale.