Cartografie attraversate da un incrollabile razzismo
SAGGI/2 «I confini dell'esclusione», un volume collettaneo a cura di Vincenzo Carbone, Enrico Gargiulo e Maurizia Russo Spena. Oggi al parco Nomentano la presentazione
SAGGI/2 «I confini dell'esclusione», un volume collettaneo a cura di Vincenzo Carbone, Enrico Gargiulo e Maurizia Russo Spena. Oggi al parco Nomentano la presentazione
«Prima gli italiani!», recita il mantra razzista che pare tragicamente essersi fatto senso comune. Lo slogan disegna una gerarchia, promette un primato e al tempo stesso circoscrive un ambiente di concorrenza assoluta. Di selezioni della razza, di confini che si chiudono e promettono di aprirsi solo a condizioni feroci quanto vaghe e indefinite si occupa I confini dell’esclusione (DeriveApprodi, pp. 204, euro 20), volume collettivo a cura di Vincenzo Carbone, Enrico Gargiulo e Maurizia Russo Spena.
PER CAPIRE in che modo l’ethnos si sia imposto sul demos, bisogna partire dallo scenario, prodotto dal governo europeo della cosiddetta «crisi dei rifugiati» del 2015. Miguel Mellino spiega nel suo saggio come negli ultimi anni ormai sia scomparsa la figura del cosiddetto «migrante economico» e come il diritto d’asilo sia stato sostituito dalla ricerca di forza lavoro razzializzata e differenziale. Dall’incrocio della produzione di soggettività della biopolitica di Michel Foucault con la pulsione di morte della necropolitica teorizzata da Achille Mbembe la «geografia della crisi europea» assume una sua specificità, rappresentata efficacemente dall’arcipelago concentrazionario degli hotspot, luoghi al tempo stesso di accoglienza e segregazione in cui convergono presunte ragioni umanitarie ed evidenti paranoie securitarie.
COSÌ COME le colonie non erano stati d’eccezione ma dispositivi al servizio della «civiltà europea», il razzismo di questi tempi disegna colonie interne, è un «fatto sociale totale», un dispositivo che si dipana a diverse intensità. Il nodo che attraversa i testi è la «civic integration», l’idea sviluppata in provvedimenti amministrativi e dispositivi di legge che vincola la permanenza di un migrante alla sua disponibilità ad accettare codici culturali, norma morali e modelli di comportamento.
Si pretende di selezionare i soggetti più meritevoli, sostiene Gargiulo, anche se nella gran parte dei casi difficilmente davvero verrà concessa la cittadinanza piena. «Alle molteplici forme della paura e della discriminazione – aggiungono Russo Spena e Carbone – va attribuita una specifica densità politica, necessaria alla governance per gestire gli effetti della crisi economica sulle condizioni di lavoro e di vita e l’impoverimento di larghe fasce di popolazione». Ne deriva che fenomeni quali la disponibilità del lavoro gratuito e la diffusione delle retoriche del decoro agiscono senza distinzione tra «clandestini», «regolari» e «cittadini».
LA QUESTIONE è giocata tutta sul delicatissimo crinale del la produzione di confini, tra un supposto «dentro» e un «fuori» o, e forse è peggio ancora, tra «noi» e gli «altri». Il ministro dell’interno Marco Minniti asfaltò la strada che oggi viene comodamente percorsa dalla ruspa di Matteo Salvini ripetendo slogan quali «Esistono i diritti di chi arriva ma anche quelli di chi accoglie». All’apparenza era un’uscita un po’ furba, rivolta alla costruzione di un compromesso. In fondo, però, mettere sul bilancino i diritti dei migranti con quelli degli italiani significa considerare scontato che i primi e i secondi siano complementari.
LA RICHIESTA di imparare la lingua italiana, spiega più avanti Giuseppe Faso, ribalta le consuetudini e ricorda più i processi di «assimilazione» che di accoglienza. Apprendere una lingua non è premessa di «integrazione», semmai conseguenza. «È la mancanza di prospettive che porta a proiettare sui nuovi arrivati l’immagine di un universo sociale senza dinamismo, condannato a ripetersi e percio incapace di immaginare che la loro presenza e la loro iniziativa possano svolgere una funzione positiva in una società invecchiata, disperata e costretta a dotarsi di un’identità per sottrazione e differenza».
UN’IDENTITÀ «banale», suggerisce ancora Faso, in senso etimologico: il termine deriva dal francese «ban», termine di origine germanica che si riferiva al proclama del padrone per estensione passò a indicare le scontate e acquiescenti abitudini in uso nel villaggio. A quella voce del padrone tocca ora sfuggire per combattere l’ondata razzista.
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Il libro verrà presentato dagli autori oggi a Roma alle 18 nell’ambito di iFest, al parco Nomentano di piazza Sempione.
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