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Cartabia: «L’antisemitismo aumenta in Italia e Europa»

Cartabia: «L’antisemitismo aumenta in Italia e Europa»

La ministra alla commissione Segre: contro i crimini d’odio i reati previsti non bastano

Pubblicato quasi 3 anni faEdizione del 9 febbraio 2022

«Il vento dell’antisemitismo è tornato a soffiare e non solo in Italia, ma in tutta Europa», denuncia la ministra della Giustizia Marta Cartabia. Un vento velenoso e sempre più forte come si capisce dall’ultimo rapporto dell’Agenzia europea dei diritti fondamentali (Fra) che per il solo 2020 ha registrato 3.520 casi di antisemitismo. «Mille di più di quelli stimati, e di questi 101 sono avvenuti in Italia», spiega la ministra. Nel mirino di chi insulta, quasi sempre nascosto dietro un computer, ci sono però anche Rom, musulmani e migranti. «Con gli ebrei sono le minoranze più spesso bersaglio dei discorsi d’odio», avverte Cartabia,

La ministra della Giustizia parla di fronte alla commissione straordinaria per il contrasto a razzismo e antisemitismo presieduta dalla senatrice Liliana Segre e dalle sue parole si capisce come il nostro ordinamento sia quanto meno insufficiente per contrastare i reati di odio, come la propaganda e l’incitamento alla discriminazione razziale, religiosa e di genere. Del resto i numeri parlano chiaro: in cinque anni, dal 2016 al primo semestre del 2021, i procedimenti contro questi reati «sono stati non più di 300 – spiega – concentrati nei distretti giudiziari del Nord e delle città di Roma (16,2%) e Milano (4,85%). Nell’80% dei casi si concludono con l’archiviazione e nei pochi casi di rinvio a giudizio prevale la condanna (40%). Il resto si conclude con assoluzioni o non doversi procedere». Numeri che Cartabia non esista a definire «davvero esigui»,

Per contrastare la «piramide d odio» che parte dalle offese verbali ma può degenerare in «aggressioni fisiche, molestia sessuale, violenza» e perfino morte, in Europa ci si sta muovendo. Il 4 febbraio scorso i ministri della Giustizia dell’Ue riuniti a Lille hanno valutato la possibilità di modificare l’ex articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell’Unione per inserire anche l’incitamento all’odio tra i reati di rilevanza europea, al pari di terrorismo, tratta degli esseri umani e corruzione. La strada è però in salita, e per più di un motivo. Tanto per cominciare, anche se dal 2008 l’ordinamento europeo stabilisce che le manifestazioni di razzismo e xenofobia devono essere punite con sanzioni penali efficaci, gli Stati membri hanno adeguato le normative nazionali senza alcun coordinamento. «Ad esempio – spiega infatti Cartabia – 20 Stati membri hanno norme penali per l’incitamento all’odio per orientamento sessuale, 17 per motivi di genere, 14 per motivi di disabilità, 6 per motivi di età. 8 Stati membri hanno definito il reato di incitamento all’odio senza specificare i motivi, in modo da proteggere qualunque gruppo minoritario».

A complicare le cose ci sono poi i passaggi necessari per arrivare alla modifica dell’ex articolo 83, una procedura che, oltre alla Commissione europea, prevede un passaggio al parlamento europeo ma soprattutto il voto unanime da parte del Consiglio Ue. «Cosa niente affatto scontata», sottolinea la ministra. Una volta superato questi scogli, la Commissione potrà presentare una proposta di direttiva che parlamento e Consiglio Ue potranno approvare a maggioranza qualificata. «Riparleremo di questa proposta nel prossimo vertice Gai previsto per i primi di marzo dove speriamo di poter fare dei passi avanti», prosegue Cartabia.

Per quanto riguarda l’odio online, il principio alla base della normativa europea sui servizi digitali (Digital Service Act) è chiaro: ciò che è illecito offline deve essere illecito anche online, Vi è, ha proseguito Cartabia, «la necessità di collaborare con le piattaforme perché online il tema dei discorsi d’odio tende ad esasperarsi». Al vertice di Lille si è «interloquito con i rappresentanti delle principali piattaforme, Google, Meta, mentre Twitter non si è presentata, per sviluppare azioni integrate», per contrastare gli hate speech. «Coinvolgere le piattaforme è decisivo non per delegare tutto ma per agire in maniera tempestiva».

Per la titolare della Giustizia, comunque, reprimere non è sufficiente: «Il diritto penale serve – è la conclusione – perché stigmatizza determinati comportamenti, ma non basta. Per contenere questo tipo di fenomeni, oltre al diritto penale serve educare, prevenire, riparare».

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