Si potrebbe dire che tutto è cominciato con l’apertura straordinaria, nel giugno scorso, del Complesso Storico delle Cartiere Miliani a Fabriano per il Fabriano Paper Pavilion – A Wonderful Journey, ma tutto iniziò, in realtà, nel XIII secolo quando lungo il fiume Giano nacquero le prime cartiere che di molta acqua hanno bisogno. La carta è il risultato di un lunghissimo processo impossibile a descriversi in poche righe, che si è anche srotolato lungo un arco di tempo ampissimo e un giro del mondo che parte dalla Cina, passa per gli Arabi e giunge a perfezionamento, otto secoli fa, tra Genova e le Marche, che impasta acqua, cellulosa, stracci, moltissimo e faticoso lavoro, grande perizia. Anche oggi, anche per quella che si tiene tra le mani leggendo il giornale.

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NELLA VERA E PROPRIA CITTÀ della carta, formata dai vari padiglioni dell’antica cartiera, che nel 1997 ospitarono le opere salvate dai crolli del terremoto, la Fondazione Fedrigoni di Fabriano (per le visite http://fondazionefedrigoni.it/it/7/contatti) ha costituito e ha dato corpo, anche con una serie di acquisizioni di altre collezioni, alla storia di una materia che ha cambiato il mondo, la sua conoscenza e i suoi commerci, il modo di comunicare, di essere politica o burocrazia e di fare la cultura, la trasmissione del sapere e delle emozioni. Alcuni numeri, fondamentali e impressionanti, che non riescono tuttavia a rendere per intero lo stupore e la suggestione che questo luogo provoca.
Non si può che cominciare da una cassa che conteneva le filigrane ora in collezione e che, partita per l’Esposizione Universale di Parigi del 1900, tornò con tutti i timbri postali che ancora si vedono e il giudizio di «collezione unica al mondo» espresso dalla Commissione Giudicatrice. Sono oltre 2200 le filigrane storiche, datate tra il 1267 e il 1798, a cui si aggiungono 2000 m2 di antichissimi strumenti, dai torchi ai tavoli del «formista» (dove si producono i complicati telai da dove nasce emergendo dall’acqua il foglio), più di 700 tele cilindriche per la produzione della carta a macchina in tondo, 6000 punzoni e contropunzoni in legno, bronzo e rame, più di 2000 forme per la produzione della carta a mano, oltre 3000 tra carte e veline tutte vergate e appositamente pensate per chi amava scrivere, disegnare, dipingere o per famosi marchi evocativi nell’immaginario collettivo dei consumi e della ormai scomparsa crescita di questo Paese dalla metà dell’800 a oggi, una sala piena di imponenti rotoli per carta da banconote di Paesi di tutto il mondo.
Inoltre un grosso fondo di beni archivistici, oltre 3000 volumi di pregio e una fototeca con più di 1000 fotografie che raccontano di archeologia industriale, di mutazione del paesaggio, di lavoro pesante e preciso di uomini e donne.

Deposito Beni Storici Cartari

C’È MATERIALE SUFFICIENTE affinché si esca incapaci di non avere più rispetto per il più piccolo pezzo di carta, un rispetto che certamente è dovuto all’ecosistema e alla sua fragilità, ma anche a una filiera di produzione antichissima e complessa in modo inimmaginabile fino a che non si capisce visitando proprio questo Istituto di storia della carta dove si viene colti da una curiosità sempre più grande che cancella il tempo trascorso in un luogo che, all’apparenza quasi magico, riconduce invece costantemente dentro il percorso reale di produzione, raccontandone la bellezza.
Muovendosi con attenzione nei padiglioni e con l’aiuto più che della luce della controluce si scopre la complessità della filigrana e della sua esecuzione, un disegno, che di frequente riproduceva opere d’arte, costruito con sottilissimi fili metallici posizionato al centro del reticolato, dal 1310 reso marchio di fabbrica, allora detto signum, da 50 maestri cartai locali affinché si riconoscesse subito ciò che oggi chiameremmo il consorzio.

TRA LE VETRINE E GLI ANTICHI banchi difficilmente non verrà la voglia di osservare verso la luce un qualsiasi foglio vergato capiti allo sguardo e in controluce emergerà una affollatissima storia della cultura e dell’arte italiane. La carta commissionata da Giovanni Battista Bodoni le cui edizioni furono famosissime non solo per la qualità tipografica ma anche per quella delle carte, quella speciale che richiedeva Antonio Canova per i disegni, l’altra ordinata per tutta la famiglia da Monaldo Leopardi oppure quella appositamente fabbricata per Gabriele D’Annunzio. Da ultimo, in due padiglioni vengono ora ospitate, in un percorso suggestivo ideato da Umberto Giovannini, le grandi opere di Maria Pina e Gianna Bentivenga, artiste e incisore che hanno pensato appositamente per questi luoghi opere che rendessero visibile l’intesa profonda tra arte e carta.
La prima, su monumentali rotoli che sembrano rievocare i medievali rotuli liturgici, narra di città babeliche intricate, primordiali e contemporanee insieme, incrociando sulla materia tenera della carta segni che sembrano uscire da una specie di scrittura densa e rocciosa. La seconda, con installazioni lievissime, luminose e aeree, libere nel grande spazio di una delle sale che conserva le pesanti matrici, racconta con incisioni rarefatte e «a levare» le rispettive metamorfosi tra la carta e la luce. Intorno, il paesaggio dolce delle Marche protetto e mantenuto con cura tra i padiglioni e la speranza di un rapporto sempre più stretto e quotidiano con la missione di far conoscere cosa sia stata e cosa sia nella realtà la carta e il rispetto che gli dobbiamo..