Visioni

Carrà pubblica e privata, icona oltre il tempo tra mito e resurrezione

Carrà pubblica e privata, icona oltre il tempo tra mito e resurrezioneRaffaella Carrà – foto Archivio Storico Giovanni Liverani

In sala In «Raffa», il doc di Daniele Luchetti sull’artista scomparsa nelle sale dal 6 al 12 luglio, ritratto di diva e di un’epoca

Pubblicato più di un anno faEdizione del 5 luglio 2023

Raffaella Carrà e il caschetto biondo, le mises caricate all’inverosimile, il trucco esagerato e gli zatteroni, i bagni di folla e i balletti ‘sado maso’ con le divise da poliziotto stile gay club berlinese che si alternano alle dirette strappalacrime di Carramba che sorpresa. Varietà e pailettes del sabato sera e talk show ante litteram del mezzogiorno in un sovrapporsi di immagini, storie e testimonianze dedicati a nostra signora dello spettacolo che rivivono in tre ore di documentario. Daniele Luchetti nel suo Raffa, il ritratto inedito di un’icona senza tempo, titolo originale del film prodotto da Disney + e Freemantle e che Nexo distribuisce da domani e fino al 12 luglio in 150 sale italiane (prossimamente sulla piattaforma), più che proporre una carrellata sulla vita della diva morta il 5 luglio 2021 e che quest’anno avrebbe compiuto 80 anni, cerca di raccontare la complessità del mito Carrà.

E LO FA partendo proprio dalla fine, dove attraverso immagini televisive viene rivissuta la morte della protagonista, annunciata in diverse lingue per metterne in rilievo la statura internazionale. Ma soprattutto per sottolineare il mistero di una donna che nel momento estremo decide di nascondersi e tenersi il dolore per sé. È proprio sulla dicotomia fra personaggio pubblico e privato, tra l’artista stacanovista, rigorosa con sé stessa e con gli altri ma che lontano dalle luci del palcoscenico rifiuta mondanità, odia i bagni di folla e il contatto fisico non superando mai l’abbandono del padre, che Luchetti imposta il film.

«Io non voglio fermare il tempo – spiega in un’intervista – perché voglio vedere fino in fondo come sarà la mia vita».

ICONA per i fan ma soprattutto luce di riferimento per la comunità Lgbtq + che vede in lei un simbolo di libertà e emancipazione. Il Pride da vent’anni non manca mai di celebrarla attraverso gioiosi dj set – Muccassassina, le serate delle comunità gay italiane nascono proprio nel segno delle sue canzoni. «È stato uno dei grandi fenomeni pop italiani – spiega Luchetti – e questo film è un tentativo di mettere insieme più tasselli possibile per ipotizzarne un ritratto». Un lavoro lungo e complesso in cui sono confluite 1500 ore dagli archivi Rai (gran lavoro al montaggio di Luca Manes, Chiara Ronchini e Emanuele Svezia), ma anche da quelli privati della famiglia Pelloni e soprattutto da quelli spagnoli, dove Raffaella Carrà ha vissuto nella seconda metà degli anni settanta di una popolarità che sfiorava l’idolatria e dove i suoi show hanno contribuito a cambiare la televisione iberica. Bella l’idea di sovrapporre alle immagini del funerale di Franco, le note di Fiesta tra i tormentoni di una carriera discografica da 60 milioni di copie vendute.
Canzonette costruite abilmente da Gianni Boncompagni – insieme a Sergio Iapino figure fondamentali nella sua carriera anche quando la relazione sentimentale si interrompe – dove retaggi disco si alternano a languori erotici senza mai esagerare. L’erotismo che sprigiona il personaggio Carrà è innegabile, ma sempre a ’formato famiglia’. Raffa unisce le tappe della sua carriera, gli esordi zoppicanti nel cinema, la breve parentesi a Hollywood e poi i trionfi su piccolo schermo nelle testimonianze di parenti, amici, collaboratori e non solo: tra i tanti Marco Bellocchio che studiava con lei al Centro sperimentale, Barbara Boncompagni, Salvo Guercio, la scrittrice Caterina Rita forse l’unica a comprendere fino in fondo la complessa personalità della Carrà.

«IO NON VOGLIO fermare il tempo – spiega in un’intervista – perché voglio vedere fino in fondo come sarà la mia vita». E così l’ultima delle grandi showgirl italiane, capace di rendere glamour quello che in realtà non era anche nei più oscuri anni della tv dorotea – epici gli scontri ai vertici di viale Mazzini per lo scandalo Tuca tuca, dimostra tra gli ottanta e i novanta di sapersi adeguare. Scansa le polemiche dopo la messa in onda del suo Ma che sera poche ore dopo il rapimento Moro, sui compensi – le interrogazioni di Craxi alla Rai per i suoi monumentali compens, il passaggio (toccata e fuga) a Fininvest. In Rai muta pelle, trasformandosi in una presentatrice da salotto. Via i balletti, le coreografie strepitose di Gino Landi e gli abiti impossibili e futuristici di Luca Sabatelli, ed ecco l’intrattenitrice di mezzogiorno che Boncompagni coglie in astuti (e geniali) primi piani che trasformano Raffaella nell’essenza stessa del piccolo schermo.
Accanto ai trionfi, Luchetti mostra le inquietudini – forse la vera forza della Carrà – capace di lasciare «orfane» milioni di casalinghe assuefatte al rito del mezzogiorno, così come a metà anni settanta era fuggita dal Sudamerica e dai tour «sold out» negli stadi dall’Argentina al Messico, dove l’affetto del pubblico si era trasformato in pura ossessione. Raffaella si reinventa: il format Carramba! – su cui ancora oggi si adagia buona parte degli show della tv pubblica e commerciale – è l’esaltazione della «tv del dolore». Lacrime, abbracci, glamour e canzonette. Raffa si concede ai fan in pubblico ma il privato è di Raffaella Pelloni a cui nessuno può accedere. «Ma se lei non fosse la Carrà chi vorrebbe essere? – le chiede un giornalista – «la Pelloni», risponde lei sicura.

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