Visioni

Carolee Schneemann, quando il personale diventa politico

Un frame da «Plumb-Line» di Carolee SchneemannUn frame da «Plumb-Line» di Carolee Schneemann

Eventi Una retrospettiva dedicata all’artista e pittrice a Archivio Aperto

Pubblicato 2 giorni faEdizione del 29 ottobre 2024

«Sono una pittrice. Sono ancora una pittrice e morirò da pittrice. Tutto quello che ho realizzato ha a che fare con l’estensione dei principi visivi fuori dalla tela». Così Carolee Schneemann poco prima di morire, nel 2019, sintetizzava in un’intervista la sua pulsante e poliforma produzione artistica, fatta di pittura, performance, happening, fotografia e cinema in un incessante processo di trasformazione di sé e dei materiali coi quali operava. Multimaterica per natura dunque, l’artista ha sperimentato i linguaggi del visivo, nella piena convinzione che il personale è politico, indagando temi come l’erotismo, l’oggettivazione e l’oppressione della donna, le relazioni fra umani e animali e il trauma provocato dagli interventi militari dell’Occidente.

SEPPUR ESIGUA, la produzione filmica di Carolee Schneemann (una decina di film) è essenziale per comprendere a pieno la sua poetica e grazie alla sezione “Storie sperimentali” del festival Archivio Aperto di Bologna – conclusosi lo scorso 26 ottobre – se ne è potuta ammirare una piccola parte. Tre i film all’appello proiettati in 16mm: Fuses, Plumb Line e Viet-Flakes, realizzati fra la metà degli anni Sessanta e i primi Settanta. Il più celebre, Fuses (1964-1967), contiene già nel titolo un’anticipazione di quello che verrà mostrato sulla pellicola-tela. Diretto, interpretato e montato da Schneemann con la complicità del marito James Tenney, è uno straordinario tentativo di riprodurre l’intera esperienza visiva e tattile dell’atto sessuale come un fenomeno soggettivo in chiave anti-pornografica. Schneemann inoltre concepisce il film attraverso il punto di vista della gatta Kitch, l’osservatrice bella e impassibile la cui visione della sessualità umana è libera dal voyeurismo e priva di moralità. Girato con una Bolex 16mm (e plasmato) nel corso di tre anni, Schneemann ha trascorso quel tempo a segnare e a dipingere il girato, per poi cuocerlo al forno, immergerlo nell’acido, addirittura appenderlo fuori dalla finestra durante i temporali, con la speranza che potesse essere colpito da un fulmine.

Una poliforma produzione fatta di performance, happening, fotografia e cinema

COME GLI ESSERI umani portano con sé le tracce fisiche delle proprie esperienze, anche Fuses testimonia dunque il suo vissuto ma soprattutto la missione della sua creatrice ovvero il voler utilizzare (ma soprattutto modellare, se non inturgidire) la pellicola per avvicinarsi alla tattilità epidermica, allo scambio di fluidi prodotti dai due corpi quando fanno l’amore. Se Fuses è anche un’ode gioiosa (e utopica) all’amore romantico fra le mura di casa, Plumb Line è il suo dolente canto funebre. Realizzato fra il 1968 e il 1971, il film è l’autoritratto di una separazione amorosa, questa volta dal falegname Tom Molholm che l’artista frequentò per una manciata di anni. Il punto di vista qui non è più di Kitch – che compare spesso nel footage ça va sans dire – bensì di un’istanza impersonale che osserva la pellicola nel suo farsi e disfarsi. Montaggio di fotografie e home-movies in 8mm della coppia, Plumb Line (letteralmente il piombino utilizzato nell’edilizia per determinare la direzione verticale rispetto ad un determinato punto) è la cronaca della dissoluzione di un sentimento tramite pellicola. Alternando freneticamente momenti romantici della coppia a scorci di viaggi a Londra, Venezia e New York, il film progressivamente diventa astratto e, come per Fuses, Schneemann colora, graffia, spezza e duplica il girato, trasferendolo poi in 16 mm saturando il colore e dando un ritmo pulsante al montaggio. I

IN UN CRESCENDO poi di tensione, la pellicola viene spezzata, quadruplicata, psichicamente frantumata, come il cuore e la mente della sua autrice. Parallelamente, dal silenzio si passa a un sonoro che mescola i rumori della strada al canto degli uccelli e a suoni lugubri e gutturali. Il preludio allo straziante, ciclico finale – la stessa scena appare all’inizio del film – dove vengono filmati pezzi di girato che catturano il volto felice di Tom mentre brucia rapidamente sulla pellicola. «Lasciarsi non dovrebbe essere bello come quando ci si innamora?» si chiedeva (retoricamente) il protagonista di La frontière de l’aube di Philippe Garrel. Carolee Schneemann anni prima aveva già trovato la risposta.

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