Caro Poletti, sulle fabbriche recuperate ora ci vuole una nuova legge
Ci sono volute 252 fabbriche occupate e riaperte dai lavoratori, tante quante ne sono state censite dall’Istituto europeo di ricerca sulle cooperative (Euricse), perché la politica si accorgesse che quest’ultime […]
Ci sono volute 252 fabbriche occupate e riaperte dai lavoratori, tante quante ne sono state censite dall’Istituto europeo di ricerca sulle cooperative (Euricse), perché la politica si accorgesse che quest’ultime […]
Ci sono volute 252 fabbriche occupate e riaperte dai lavoratori, tante quante ne sono state censite dall’Istituto europeo di ricerca sulle cooperative (Euricse), perché la politica si accorgesse che quest’ultime possono rappresentare un modello per uscire dalla crisi.
Ieri finalmente è accaduto: il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha partecipato all’inaugurazione della nuova Italcables di Caivano, nella martoriata Terra dei fuochi. Non è un caso che lo abbia fatto proprio lui, visto che la Legacoop da cui proviene ha avuto un ruolo nella ripartenza, finanziandone in parte il recupero (insieme alla Banca Etica).
Non è detto che Poletti la pensi come Naomi Klein, per la quale «le fabbriche recuperate sono un messaggio di speranza critica», ma in ogni caso si tratta di un evento simbolicamente degno di nota: è il riconoscimento da parte di un governo occidentale che le fabbriche recuperate possono essere un modello per rimettere in piedi un tessuto industriale minato da ristrutturazioni finanziarie, delocalizzazioni selvagge e fallimenti da prendi i soldi e scappa.
Quello di Caivano non è l’unico esempio di come si possa lavorare senza padroni: dalla Ri-Maflow di Milano alle Officine Zero di Roma, dalla Mancoop di Castelforte alla Ipt di Scarperia, alcune migliaia di lavoratori in Italia possono fregiarsi del titolo di «recuperati».
Non tutte le ciambelle riescono col buco, naturalmente: i dati Euricse ci dicono che il tasso di sopravvivenza di una fabbrica senza padroni è del 36 per cento. Potrebbe apparire poco, in realtà è tantissimo se si pensa ai mille intoppi (burocratici, legislativi, giudiziari, economici, persino culturali) che gli operai rimasti senza un posto e un reddito si trovano a dover affrontare.
Molti, in questi anni di dura crisi, hanno preferito il porto sicuro della cassa integrazione e gli spiccioli della liquidazione invece di rischiare pure quel poco che gli rimaneva per investire nel loro futuro.
Non è facile rimettersi in gioco se attorno c’è il deserto e ad aiutarti non ci sono forze politiche e in molti casi neppure i sindacati, spesso troppo tiepidi nei confronti di un modello che azzera il sistema tradizionale di relazioni industriali.
Ma il ruolo di un ministro non si può limitare alla, pur meritoria, partecipazione a una festa d’inaugurazione.
In Italia esiste una legge, la Marcora del 1984, che supporta e incentiva il recupero delle fabbriche. Andrebbe ripresa in mano e aggiornata, aggiungendo risorse adeguate a far sì che cento, mille Caivano fioriscano. È questo che ci aspettiamo da un governo che guarda al Pil come a un miraggio.
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