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Carmen Giardina, poesia è Bellezza

Carmen Giardina, poesia è BellezzaDario Bellezza nel 1994, foto di Angelo R. Turetta - Contrasto (archivio manifesto)

Doc «Bellezza, addio», il nuovo film documentario scritto e diretto con Massimiliano Palmese, dedicato al poeta romano Dario Bellezza

Pubblicato più di un anno faEdizione del 8 luglio 2023

Carmen Giardina è attrice e regista ha recitato, tra gli altri, per Cristina Comencini, Marco Risi, Peter Greenaway, Giancarlo Sepe, Alessandro D’Alatri, e nel 2018 è tra i protagonisti del film Il contagio di Botrugno e Coluccini, in concorso a Venezia; ha diretto tre cortometraggi pluripremiati: Turno di notte con Leo Gullotta, La grande menzogna e Fratelli Minori con Paolo Sassanelli e Alessio Vassallo. In teatro è ideatrice e regista dello spettacolo God save the punk! al Teatro Vascello di Roma.

Nel 2020 è autrice e regista con Massimiliano Palmese del film documentario Il caso Braibanti, di cui segue anche il montaggio, che vince il Premio del Pubblico al Pesaro Film Festival e il Nastro d’Argento 2021 come Miglior Docufiction.

Bellezza, addio, il nuovo film documentario scritto e diretto con Massimiliano Palmese, è dedicato al poeta Dario Bellezza, prodotto da Zivago Film e Luce Cinecittà, con interviste a Barbara Alberti, Antonella Amendola, Ulisse Benedetti, Franco Cordelli, Ninetto Davoli, Giuseppe Garrera, Maurizio Gregorini, Fiammetta Jori, Renzo Paris, Elio Pecora, Paco Reconti e Nichi Vendola, musiche di Pivio e De Scalzi è stato presentato in anteprima mondiale il 20 giugno alla 59ma Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro.

Il lavoro di Carmen Giardina è stato sempre caratterizzato dall’impegno civile, un filo tenace che lega tutte le sue produzioni. Capelli rossi mossi, occhi castani, gentile, apparentemente mite, non alza mai il tono di voce casomai accelera quando si appassiona, non ha tutte le caratteristiche estroverse e tipiche delle attrici anzi sembra piuttosto riservata, Carmen si accalora quando parla di ciò che fa e si ritrae un po’ quando deve parlare di sé stessa. Penso che il suo modo di essere sia intimamente legato a Genova città in cui è nata e cresciuta e dove ha cominciato la sua avventura nel mondo dello spettacolo.

È proprio recitando per il teatro stabile di Genova che conosce Paolo Graziosi, splendido grandissimo attore mancato l’anno scorso, che le suggerisce di stabilirsi a Roma: «se vuoi fare l’agente di borsa vai a Milano ma se vuoi fare teatro devi andare a Roma» e Carmen si sposta nella capitale nel 1989. Mi racconta le sue impressioni: «Roma era una città viva culturalmente e ricordo che si sentivano ancora gli echi di una stagione teatrale, letteraria, nelle arti figurative, particolarmente felice, si percepiva questa ricchezza, c’era ancora l’estate romana, nonostante Nicolini non fosse più assessore alla cultura la sua impronta si sentiva ancora, la città offriva molti spettacoli ed eventi, e di quella stagione fantastica faceva parte attiva Dario Bellezza. Il primo incontro che ho avuto con lui è stato, molto prima del mio trasferimento, attraverso le opere di Rimbaud che lui aveva tradotto in italiano e che io divoravo con fame insaziabile da adolescente. Mi chiedo se anche oggi gli adolescenti hanno la stessa necessità famelica di poesia, questo bisogno della parola poetica, io ce l’avevo e credo anche molti miei coetanei, dei ragazzi di oggi non lo so, però è interessante rifletterci perché il documentario su Dario non è soltanto il ritratto di un poeta, per quanto si potrebbe definire esattamente così, ma è anche una riflessione su quello che abbiamo perduto, e anche su dov’è oggi la poesia, se ancora ce ne sia bisogno, se ancora abbia un senso, se è ancora viva.

Dentro il film c’è tutto questo infatti il titolo, non casuale è: Bellezza addio, lo abbiamo mutuato da una raccolta di lettere scambiate con Anna Maria Ortese che lui stimava moltissimo, l’unica con cui non aveva un rapporto conflittuale, e che, nonostante le ristrettezze economiche, aiutava mandandole del denaro quando lei ne aveva bisogno. Fu Bellezza insistere con Pasolini perché la leggesse. Le donne sono state molto importanti per Dario, anche se aveva rapporti controversi e faticosi con il genere femminile a partire da quello con la madre che probabilmente non accettava la sua omosessualità, Elsa Morante è stata quasi un ossessione per lui, la considerava la sua maestra e Amelia Rosselli, con cui aveva diviso il primo appartamento, di cui restò amico tutta la vita rimpiangendo di non averla aiutata abbastanza nell’ultimo periodo prima del suicidio perché già troppo malato e indebolito. Fondamentale fu il rapporto con Pasolini che lo aveva aiutato agli inizi, quando appena andato via dalla casa dei genitori era senza una lira, e per dargli un sostegno economico senza offenderlo, lo aveva assunto come segretario per tre anni e all’uscita del suo primo libro di poesie Invettive e licenze, lo aveva definito il più bravo tra i poeti della sua generazione e insieme a Moravia, che aveva scritto la prefazione del suo primo romanzo L’innocenza, gli aveva aperto la porta principale per entrare nel mondo della cultura in Italia. La traumatica morte di Pasolini segnò profondamente Dario che gli dedicò tre libri e diverse poesie. A Moravia rimase legato per tutta la vita, così come a Franco Cordelli a cui telefonava tutte le mattine».

Appena Carmen nomina Cordelli anche io piombo in un tunnel di ricordi: ho conosciuto Dario nel ’76, frequentavamo gli stessi luoghi, gli stessi amici, lui era bello senza saperlo, fragile, salace e sobillatore, timido e mondano un eterno adolescente come lui stesso si definiva «io vivo in una dimensione materna…io non cresco alla virilità», poi quando si è ammalato è sparito dalla circolazione, non voleva si sapesse, soprattutto voleva proteggere suo padre cardiopatico che invece ne venne a conoscenza dal racconto di un fatto di cronaca, l’irruzione dei carabinieri in un laboratorio di un sedicente medico che praticava una terapia non autorizzata, nella prima pagina del giornale che riportava la notizia c’era scritto che tra i pazienti c’era il poeta Dario Bellezza malato di aids, il padre di Dario morì pochi giorni dopo. Un colpo devastante. Mi ricordo esattamente la serata inaugurale della rassegna di poesia ideata da Cordelli, Carella e Benedetti; tutti noi attori del Beat 72 eravamo stati «precettati» a coadiuvare i poeti che più che leggere i propri versi erano invitati a «mettersi in scena». La prima serata era stata affidata a Dario Bellezza, che era conosciutissimo a Roma, il titolo della sua performance era Sodoma ad Auschwitz, la regia affidata a Riccardo Corso che doveva partecipare anche come attore. Il teatro era pieno ma Dario non si trovava. Per uno scherzo maligno, forse fatto dallo stesso Corso per gelosia, era stato mandato all’Ompos, locale gay, dove gli avevano detto si sarebbe svolta la serata invece che al Beat 72. Dopo lunga attesa e proteste del pubblico Simone Carella riuscì a trovarlo e riportarlo a teatro dove Dario cominciò a leggere le sue poesie verso la mezzanotte ma venne immediatamente disturbato e aggredito dal suo sedicente regista che insieme ad un altro ragazzo invase la scena mimando un rapporto omosessuale, scoppiò la rissa e il giorno dopo il resoconto della serata era su tutti i giornali. Nel bel documentario Bellezza addio il ritratto di Dario è vivo e commovente, tutto il film procede poeticamente le immagini di repertorio e le interviste sono scandite e legate dalla musica, che spesso è determinante nel montaggio, di Pivio Odescalchi con cui Carmen collabora in tutti i suoi lavori. Prima di salutarla le chiedo dei suoi prossimi progetti mi dice che sta lavorando ad una storia, vera, tutta al femminile, che affronta il tema del mobbing e dell’omofobia.

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