Cultura

«Carlo Scarpa/Sekiya Masaaki», tra architettura e fotografia

«Carlo Scarpa/Sekiya Masaaki», tra architettura e fotografiaMasaaki, tratto dalla mostra

ARTE Il catalogo della mostra omonima curato da J.K. Mauro Pierconti per Antiga Edizioni

Pubblicato circa un anno faEdizione del 29 luglio 2023

La vita e l’opera di Carlo Scarpa presentano sempre delle scoperte. Era accaduto nel 2012 e nel 2019 nelle due mostre veneziane alle Stanze del Vetro della Fondazione Cini e della Pentagram Stiftung, sulla sua presenza nell’arte vetraria della Cappellin e della Venini, accade oggi con il bel volume di J.K. Mauro Pierconti (Antiga Edizioni, pp. 224, euro 30), catalogo della mostra Carlo Scarpa / Sekiya Masaaki, Tracce d’architettura nel mondo di un fotografo giapponese di recente conclusa a Ca’ Scarpa il nuovo spazio espositivo nella Chiesa di Santa Maria Nova di Treviso della Fondazione Benetton Studi e Ricerche.
Il merito di Pierconti è di farci conoscere gli scatti di Sekiya Masaaki (1942-2002) che alla fotografia di architettura dedicò progetti molto impegnativi. È il caso, ad esempio, prima dell’incontro con l’opera di Scarpa, le riprese di tutte le architetture e i disegni di Otto Wagner raccolte nel 1998 dall’editore Bunkensha con i testi di Otto Antonia Graf.

SE NON L’AVESSE COLTO una morte improvvisa, le intenzioni di Sekiya erano di compiere sull’architetto veneziano una ricognizione completa analoga a quella della pubblicazione su Wagner: cinque volumi di grande formato in ordine cronologico con il quinto esclusivamente dedicato alle abitazioni. Come raccontano i suoi appunti, il progetto avrebbe avuto sicuramente molteplici cambiamenti prima di essere terminato visto il numero di fotografie già eseguite e da selezionare riguardanti la Tomba Brion al cimitero di Altivole, il Negozio Olivetti, la Fondazione Querini Stampalia e il Monumento alla Partigiana di Augusto Murer a Venezia, il Museo di Castelvecchio e la Sede della Banca Popolare a Verona, la Villa Palazzetto a Monselice e la Villa Ottolenghi a Bardolino.
Di che qualità è la fotografia di Sekiya è scontato dire di tipo «professionale». Facciamo riferimento al genere d’immagini richieste dall’editoria specializzata di architettura che costituì il suo committente principale fin dall’inizio del suo percorso di fotografo dopo l’interruzione degli studi universitari.
Formatosi con Futagawa Yukio, fotografo e publisher della A.D.A. Edita di Tokyo, la casa editrice di GA Global Architecture, Sekiya non disdegnò mai una fotografia più in presa diretta con il soggetto, dell’“attimo decisivo”, secondo la lezione di Cartier-Bresson. I tempi brevi dell’otturatore, infatti, saranno quelli scelti in uno dei suoi primi reportage in bianco e nero tra le rovine di Angkor Wat e anche quelli, diversi anni dopo, delle istantanee davanti alle architetture scarpiane.

CIÒ CHE È MUTEVOLE in queste riprese non è il soggetto, ma l’atmosfera luministica nella quale l’architettura è immersa. Sekiya sembra non prediligere una particolare condizione temporale, anzi, come accade alla Tomba Brion, gli scatti per lo più a colori che ritraggono i propilei, il piccolo padiglione sull’acqua oppure l’arcosolio, sono eseguiti nel corso del giorno per indagare il comportamento della luce «attraverso le ombre – come scrive Pierconti – che sembrano moltiplicarsi, aggiungendo piani di lettura via via più profondi».
Le inquadrature contrastate dalla luce solare costringono l’osservatore a guardare le parti più illuminate. Una varietà di scatti, quindi, eseguiti a distanza di tempo causa altrettanti registri narrativi che saranno selezionati solo in un secondo momento dal fotografo giapponese. Nel catalogo un capitolo spiega in parte lo stile fotografico di Sekiya attraverso la sua attività di produttore. Il ritrovamento, infatti, nel suo archivio di centocinquantasei stampe di Hattori Aiko dimostra quanto tenesse in considerazione la «fotografia di strada», quel genere reso famoso da Moriyama Daido (1938) costituito da immagini in bianco e nero fortemente contrastate, provocatorie e irriverenti che negli anni Sessanta pubblica la rivista Provoke.

QUANTO POI siano stati solidi i legami tra il Giappone e Carlo Scarpa (Pierconti stesso se ne occupò in: Carlo Scarpa e il Giappone, Electa 2007) la figura di Sekiya non fa che intrecciarli ancor di più attraverso la sua amicizia con Toyada Hiroyuki, collaboratore di Scarpa dal 1975 e promotore di una mostra a Tokyo negli anni in cui Tobia Scarpa progetta per Hisaeda Soichi la sua casa (1988 -1991) che purtroppo non verrà mai costruita, ma che lascerà affettuosi ricordi di Sekiya che Tobia ricorda per lui apriva «non solo le porte di casa, ma anche quelle de cuore».

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