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Carlo Petrini: all’Expo ci sarò, ma con riserva

Carlo Petrini: all’Expo ci sarò, ma con riservaRaccolto in India – Reuters

Intervista «Non ho condiviso il progetto, ma credo che l’attenzione al mondo contadino e la tutela della biodiversità possano diventare l’anima della manifestazione. I produttori prima dei consumatori»

Pubblicato quasi 10 anni faEdizione del 18 dicembre 2014

Il prossimo non sarà un anno qualsiasi per Carlo Petrini. Lui è l’inventore di Slow Food, la filosofia del buon cibo e del buon vivere nel rispetto dell’ambiente e dei diritti umani, e il 2015 è già passato alla storia come l’anno dell’Expo di Milano, la più grande fiera del mondo dedicata all’alimentazione.

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L’evento «universale» si pone come obiettivo nientemeno che «nutrire il pianeta». Ormai ci siamo. Petrini più volte ha espresso le sue riserve ma adesso ci sta. Accetta la sfida, non anche ma proprio perché nel mondo ci sono ancora persone che muoiono per fame. «Una vergogna, la battaglia più importante di questo momento storico».

Cominciamo dalla contraddizione più stridente. Il Papa, intervenendo alla Fao, ha detto «è doloroso constatare che la lotta contro la fame e la denutrizione viene ostacolata dalla priorità del mercato e dalla preminenza del guadagno che hanno ridotto il cibo a una merce qualsiasi». Come mette in relazione questa affermazione con l’Expo, la vetrina planetaria del mercato dell’alimentazione? Crede che possa passare da quei padiglioni la soluzione per nutrire il pianeta?

L’Expo è una opportunità. Quei padiglioni verranno visitati da persone e da politici di tutto il mondo, credo che con la giusta attenzione dei media i concetti espressi dal Papa potrebbero diventare la chiave di ogni discorso. Il diritto al cibo è riconosciuto da tutti gli organismi internazionali ma non viene garantito e la contabilità dei morti per fame è una vergogna per l’umanità. Manca una governance mondiale che sappia imporre questa priorità. Quando si lottava contro lo schiavismo, perché c’era ancora la schiavitù, negli atti fondativi degli Stati uniti d’America veniva citata la libertà dell’individuo, è incredibile ma viviamo un periodo ugualmente schizofrenico: continuiamo ad affermare il diritto al cibo per tutti e contemporaneamente ci sono milioni di morti per fame. È intollerabile. Lo dico in ogni contesto, all’Expo lo dirò sicuramente con più forza.

Più volte ha detto che questo sistema alimentare non funziona. Cosa farebbe se toccasse a lei risolvere il problema della fame nel mondo?

Purtroppo non è un problema risolvibile da una persona sola. Ritengo che sconfiggere la fame sia la battaglia principale in questo momento storico. Manca una governance internazionale all’altezza della situazione e manca la volontà politica. Gli investimenti a livello mondiale sono assolutamente ridicoli. Bisognerebbe ripensare l’economia. Pensiamo solo a quanto spendono gli stati per gli armamenti. E non è insostenibile il fatto che i governi abbiano investito miliardi di soldi pubblici per salvare le banche? Secondo la Fao sarebbero sufficienti 40 miliardi di dollari per impedire almeno che le persone muoiano di fame: si tratta di una cifra ridicola. Così come sono ridotti, gli organismi politici sono troppo deboli e non possono nulla contro lo strapotere di multinazionali più potenti di molti stati.

Lei è stato personalmente coinvolto fin dall’inizio, poi ha cominciato a prendere le distanze dall’Expo. A ottobre, dal Salone del gusto di Torino, ha anche reso pubblica una lettera aperta per chiedere che la manifestazione non si riduca a «un’esposizione senz’anima». Cosa non la convince ancora dell’esposizione universale?

L’appello, che ho scritto con don Luigi Ciotti ed Ermanno Olmi, chiede semplicemente che alcune tematiche che mi stanno a cuore siano parte integrante della manifestazione e non semplici dichiarazioni di intenti. Dicevo della fame, ma mi riferisco più in generale a una maggiore attenzione per il mondo contadino e alla tutela della biodiversità. Non è un atteggiamento critico, diciamo che è costruttivo. Ho avuto momenti di non condivisione del progetto, ma adesso partecipo come Slow Food. Credo davvero sia possibile che le nostre tematiche diventino l’anima dell’Expo.

Ha ricevuto qualche risposta?

Mi hanno detto di stare tranquillo. Le mie riserve non sono terminate ma spero di venire smentito dai fatti. Voglio bene al mio paese e spero che non sprechi questa occasione. Lo constaterò giorno dopo giorno.

Slow Food partecipa. Adesso provi a giustificarsi come se fosse davanti a una corte di altermondialisti ossessionati dal dio mercato.

La nostra presenza è caratterizzata da un forte legame con tutte le associazioni internazionali che si battono per la sostenibilità ambientale, per la giustizia sociale, per la biodiversità e per l’agricoltura biologica. Slow Food si focalizzerà soprattutto sul tema della biodiversità, perché in questo momento è compromessa da scelte politiche sciagurate. Mi auguro che l’Expo si qualifichi per la presenza dei produttori di cibo e che non diventi solo una kermesse per consumatori. Chi produce il pane quotidiano merita di essere il protagonista dell’Expo.

Se l’obiettivo è sottolineare il valore della biodiversità, pensa che dopo sei mesi si possano portare a casa dei risultati concreti oppure quella di Slow Food sarà solo una preziosa azione di testimonianza?

Sta prendendo forma una sorta di Protocollo di Milano, anche se sappiamo che i protocolli prima si enunciano e poi non si applicano. Basta vedere il Protocollo di Kyoto. L’elemento nodale che va puntualizzato è che la logica iperproduttivista che privilegia le specie e le razze più forti rispetto a quelle meno produttive è del tutto sbagliata. Una specie considerata debole un domani potrebbe essere quella che ci salva rispetto a un virus o a una malattia che colpisce una razza considerata forte. La biodiversità è un investimento per il futuro, è il ribaltamento di una visione antropocentrica: dobbiamo renderci conto che esistono anche i diritti delle piante, degli animali, dei fiumi, delle foreste e delle montagne. Dobbiamo tutelarla per garantire la salute del pianeta, la biodiversità è come il termometro che misura la febbre. Come dice un canto bellissimo degli indiani d’America, la terra l’abbiamo ereditata per i nostri figli, non per noi.

Si aspettava qualcosa di più dalle istituzioni locali che stanno amministrando l’evento?

Decisamente. Mi aspettavo più coraggio e un ruolo di coordinamento più forte sulle tematiche culturali e politiche legate all’evento. Invece la politica, sia a livello locale che a livello nazionale, si è limitata solo ad organizzare l’evento. Non c’è stato approfondimento sui contenuti.

Ogm. Teme che sia questa la vera partita che si giocherà dietro le quinte dell’Expo o è una esagerazione? Secondo l’Economist con 3 miliardi di dollari investiti in ricerca per il riso 150 milioni di persone uscirebbero dalla povertà estrema. La lieta novella, come tante altre di questo segno, è stata ripresa dal Corriere. E poi ci sono gli appelli degli scienziati pro Ogm che riempiono le pagine dei giornali.

Penso che sia una esagerazione. Sono convinto che nei prossimi decenni la ricerca in campo genetico troverà soluzioni tecnologicamente sostenibili che risolveranno il problema. Questa contrapposizione feroce tra pro e contro gli Ogm rimarrà un ricordo del passato. Oggi è un fatto che gli Ogm presentano diversi problemi: si basano su una commistione tra specie diverse, sono proprietà privata e inquinano i campi vicini. Non funzionano. Questo tipo di biotecnologia è vecchia come il cucco, è il contadino che nei secoli si è inventato l’innesto, ma quella era una biotecnologia pulita che ha fatto il bene dell’umanità. Oggi non si può fare altro che applicare il principio di precauzione. Non dimentichiamoci che la scienza ha spacciato per buoni prodotti che si sono rivelati nocivi, una volta spruzzavamo il ddt.

Il primo bando per l’assegnazione dell’area Rho-Pero è andato deserto. Il futuro di quel milione di metri quadrati è ancora tutto da scrivere. Ha qualche idea su come si potrebbe riconvertire l’area senza lasciarla in mano agli squali della speculazione e del malaffare?

Tutta quell’area avrebbe dovuto essere riconsegnata all’agricoltura. Questa idea non è passata e dunque il futuro è un punto interrogativo enorme. Mi dispiace perché la città di Milano ha perso un’occasione storica per dare un grande esempio all’umanità, regalare un’area verde a vocazione agricola e magari destinare qualche spazio a progetti di edilizia pubblica in una città dove ci sono migliaia di alloggi sfitti. Non so cosa succederà. Non ho la sfera di cristallo, mi limito a dire che sul dopo Expo sono molto scettico.

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