Carlo Michele Schirinzi torna a Torino dove ha presentato al festival quasi tutti i suoi film con la personale che gli dedica il Museo del Cinema «L’occhio naufrago» dal 9 all’11 maggio accompagnato da una pubblicazione di saggi critici. L’occhio naufrago più che quello dell’autore potrebbe essere quello dello spettatore abituato a un sostegno sicuro cui aggrapparsi, disabituato di abbandonarsi al flusso delle immagini che in cinque programmi di film al cinema Massimo lo potrebbe avvicinare a luoghi mentali inaspettati. Perfino i luoghi che percorre sono sconosciuti, perché comprendono anche percorsi temporali, la musica pop, punk o colta come mappa per non perdere l’orientamento. La sua formazione di artista gli fa utilizzare come materia un larghissimo spettro di riferimenti storici e letterari e come strumento di riproduzione il video nelle sue forme più diverse, compresa la cattura dallo schermo tv, i vhs, fino alla citazione, allo smantellamento.

Se Carmelo Bene faceva calpestare a Lidia Mancinelli la pellicola 16 mm di Nostra Signora dei turchi per togliere la patina sgargiante, Schirinzi diventa corsaro digitale di impulsi elettronici, mostra nelle sue immagini, nella sua ritmica, svariati «altrove»,da seguire contemporaneamente- Non è casuale il riferimento a Carmelo Bene, nascono nella stessa terra (il Salento), li lega un’affinità culturale e mentre per uno la cancellazione di tradizioni ferree tramandate nelle funzioni religiose passa attraverso la teatralità beffarda, per l’altro, vissuto nel sud più profondo, il vuoto apparente della campagna si riempie dei residui che dall’antichità giungono fino a noi. Le pitture rupestri delle cappelle bizantine che svaniscono legano il loro destino alle fabbriche abbandonate, le sale cinematografiche chiuse, i mestieri che non si faranno più, le esistenze disperse in mare. I resti di Bisanzio con Fuga da Nicea, Notturno stenopeico, Mammaliturchi! nel programma «Olocausti mediterranei» (lunedì 9 maggio ore 21) portano lo spettatore a riannodare i fili della storia attraverso un’archeologia contemporanea, tra gli indumenti lasciati tra le rovine da qualche migrante, una imbarcazione spiaggiata, un oblò che ti guarda con il movimento senza sosta di una infinita traversata, sonorità di legno e di mare inventati in frequenze e tintinnii, lamiere e perfino il vuoto (il musicista complice dei suoi film è Stefano Urkuma De Santis).Inutile cercare l’appiglio della cronaca, si impone il riferimento artistico (dai tardogotici a Rotkho) a creare nuovi spazi mentali.

Irrompe nel cinema come un punk salentino come si potrà vedere nel primo programma «Albe accidentate» (lunedì 9 ore 18.30), dove in una serie di film realizzati all’inizio del 2000 si delimita con decisione e parecchio humour uno spazio come nell’indescrivibile Il sepolcro nel cubo di una stanza da riempire di vettori (gli sguardi dello spettatore che saettano guidati dalla luce di una lampada) citazione rovesciata di Buster Keaton allo specchio, «la preziosa tessitura poetica» come dice la motivazione della menzione speciale a Torino per Il nido, reperti, trouvailles, opera lirica e partecipazione diretta, come anche in All’erta , tra documenti storici, home video sulla seconda guerra mondiale, beffarde incursioni in scena, insert tecnicamente perfetti nel bianco e nero d’ordinanza, cavalieri in pigiama (Dal Toboso).

In alcuni film che si vedranno nel programma «Natura con figure dissepolte» (10 maggio) la cura del lavoro del padre nella sua falegnameria (Il Ri(n)tocco) e del pittore Romano Sambati nel suo studio danno la precisa percezione del suo intervento sulla materia che esplode nel complesso Padrone dove sei? nel programma «Porno a lutto» (alle ore 21)

«Eco d’echi» (11 maggio) con (tra l’altro) esploratori di ombre in Macerie dell’arcobaleno, Tra i binari, per finire, misteriosi messaggi tra linee e cerchi sulla tratta tra la pianura padana e quella salentina.