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Carlo Faiello, note scugnizze

Carlo FaielloCarlo Faiello – Facebook

Musica musica Nella Domus Ars, laboratorio di discipline artistiche fondato dal compositore a Napoli

Pubblicato 4 mesi faEdizione del 15 giugno 2024

A Napoli, in via Santa Chiara, in una chiesa sconsacrata del ’700, c’è la Domus Ars, laboratorio di varie discipline artistiche fondato e diretto dal compositore Carlo Faiello, che ha riconsacrato il sito dedicandolo in particolare alla musica antica e contemporanea, dalle villanelle di Giandomenico Del Giovane o dai madrigali di Carlo Gesualdo, fino ai timbri e ai canti a distesa della musica popolare.

Destino e sincronie: via Santa Chiara, dove c’è il famoso monastero, è a un tiro di voce dal Conservatorio e vi si giunge per Via San Sebastiano, densa di negozi di strumenti musicali. Talvolta, al vespro, è possibile ascoltare canti gregoriani le cui ultime note vengono riprese dal pianoforte di Faiello e rilanciate per vicoli di basalto che si duplicano nei sentieri celesti generati dai lunghi cornicioni di palazzi che quasi si toccano. Al coro liturgico si mischia il «vicoleggiare» di voci osche, fenicie, greche, latine, arabe, spagnole, francesi, angloamericane. Un rabat sonoro.

Faiello partecipa alla «Nuova Compagnia di Canto Popolare», fondata da Roberto De Simone, lavora a lungo con Roberto Murolo ed approfondisce studi etnomusicali sul campo. Notevoli le ricerche sui «miserere» della settimana santa. Dalla frequentazione e osservazione delle feste popolari ha origine il suo interesse per «Dioniso» e per rituali, che è ancora possibile intercettare nel Sud Italia e lungo le coste del Mediterraneo, durante i quali si assiste al fenomeno della trance, studiato nei decenni passati da Lapassade. Si tratta di fenomeni antichissimi che, con quel tot di teatralizzazione che contengono, favoriscono il «passaggio» da una personalità a un’altra (Sergio Piro) e la «liberazione» dal dolore da parte del sottoproletariato.

Molti gli interpreti dei «pezzi» di Faiello, da Giovanni Mauriello a Lina Sastri a Isa Danieli. Le sue canzoni appartengono al popolo perché vengono cantate o fischiettate ma il loro autore è sconosciuto. Faiello ha rilanciato la grande tradizione musicale della Napoli di fine ‘800 non piantando le note in una serra ma liberandole per strada, «scugnizze». Il suo simbolo sonoro è un campanile dell’alto medioevo costruito con materiali di diverse epoche e che si eleva come un minareto sulla cui cima il vento diventa un muezìn. Napoli, «metropoli dialettale», è ricca di «pietre che cantano» (Schneider) e su queste pietre è rimasta l’ombra indelebile di Mozart che qui, incantato, rielaborò la tecnica del contrappunto.

Tra gli interessi di Faiello non poteva mancare Pulcinella, ma si tratta di un personaggio che ha poco a che vedere con le Atellane, piuttosto è quello, originario, di un bracciante che lavora sotto il sole (da qui il colore rosso della prima maschera indossata da Pulcinella) e, con altri salariati, durante la vendemmia e la mietitura, dava vita all’incanata (ronda di cani latranti ) e all’alluccata (allucco, grido sfrenato).

Dalla Domus Ars Pulcinella ha intrapreso il viaggio che lo condurrà, col supporto di un intellettuale come Nino Daniele, all’ UNESCO. Il metodo compositivo di questo autore ripercorre l’origine del linguaggio: dal grido alla lallazione all’agitazione neuromotoria al canto, intercettando vertici e vortici lirici come, p.es., in «Stella Diana», canzone dove la figura della gemella di sé stessa (Venere è stella del mattino e della sera, il vespro) richiama quella di Michelemmà, l’iscarola (ischitana) contesa con le carte da gioco dai turchi.

La Stella di Faiello ha gli attributi di Iside e, secondo una tradizione secolare, si identifica con la sirena e la «Madonna delle Grazie», quella che allatta. La Vergine incede con passo danzante al ritmo lunare, genera terremoti, il mondo vibra per un tamburo che suona senza essere percosso, quello del cuore.

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