Carlo Diano, prosodia e forma: appunti dal soggiorno nordico
«Carte Svedesi» Una raccolta di inediti del grecista e filosofo, da Molesini Editore Venezia
«Carte Svedesi» Una raccolta di inediti del grecista e filosofo, da Molesini Editore Venezia
«C’è come un alone intorno ad ogni espressione poetica, parola, suono, colore o forma che sia, un alone che ne allarga concentrico il senso, lo sfuma e ne propaga la vibrazione». Così si apre Carte svedesi Frammenti di un discorso poetico, la raccolta di inediti di Carlo Diano appena pubblicata per le cure attente di Francesca Diano, e con uno scritto di Marco Alloni, dal raffinato editore veneziano Molesini (pp. 93, € 10,00). Si tratta di una serie di poesie, appunti, abbozzi epistolari e saggistici raccolti sotto questo bel titolo non per un qualche riferimento testuale alla terra scandinava, ma perché databili – nella quasi totalità, e in base a elementi sia teorici che materiali (grafia, carta) – agli anni in cui il grande filosofo e grecista fu lettore di italiano nelle università Lund (1933-’39), di Copenhagen (’34-’35) e poi di Göteborg (’40-’41). Da insegnante nei licei romani (Tasso e Mamiani), Diano venne infatti «comandato» in Svezia – spiega ancora la figlia Francesca – grazie all’interessamento di Giovanni Gentile, il quale volle così proteggere l’allievo che aveva già subito richiami disciplinari e ispezioni ministeriali a causa del suo rifiuto di iscriversi al partito e, nel 1931, di giurare fedeltà al regime fascista (con la formula di umiliante devozione che secondo lo stesso Gentile avrebbe tutelato i firmatari del manifesto crociano).
Nel suo lungo e proficuo soggiorno nordico, Diano dunque non soltanto apprese lo svedese e il danese e strinse solide amicizie con intellettuali, dei quali tradurrà alcune opere, come il filologo e mitologo Martin P. Nilsson (la bella versione de La religiosità greca è da troppo tempo introvabile), l’esploratore Sven Hedin, il poeta e futuro premio Premio Nobel Pär Lagerkvist, ma iniziò presumibilmente a elaborare i temi fondamentali della propria filosofia. In quell’alone concentrico, come suggerisce la curatrice, bisogna infatti riconoscere la prima apparizione del concetto di «forma» quale sarà definito – appunto in termini di «aureola», «tensione» e «vibrazione» – nei capolavori Forma ed evento (1952) e Linee per una fenomenologia dell’arte (’56). E se in un altro frammento si legge che in poesia non vi è un contenuto che preceda «quello in atto nella forma», è proprio a tale vibrazione unica che parrebbe qui corrispondere, negli appunti sulla prosodia scritti fra il 1924 e il 1933, il rifiuto delle misure fisse e obbligate, cioè l’idea che ogni pensiero ha il suo metro e il suo ritmo.
Non c’è pensiero, potremmo allora chiosare, che non sia la sua stessa forma. La quale sarà poetica o speculativa, solitaria, «immobile», e nel contempo drammatica, poiché vibra come ogni vivente «vibra, anela» o ama, mai quieto, sempre insoddisfatto. Si guardi il mondo, dice Diano: «La vita vi è legata alla morte: ogni istante che s’apre porta con sé la possibilità d’ogni bene e d’ogni male (…) Allora, dramma. (…) dramma che ciascuno vive per ricavarne tutte le diverse forme d’arte e per ciascuna la sua poesia».
Dialogica, nel drammatico incontro dei pensieri e dei loro ritmi singolari, è quindi la forma dell’importante Poetica di Epicuro (composto nel 1944, pubblicato nel ’62 e raccolto sei anni dopo in Saggezza e poetiche degli antichi) di cui viene ora presentata una versione iniziale e incompiuta. Se tuttavia nel testo definitivo al personaggio del filosofo si uniscono il Grammatico (lo stesso Diano) e Posidonio (poeta), qui l’interlocutore è uno solo, cioè Eufemo, il lirico dell’Antologia Palatina. E alla provocazione di Epicuro sul bello artistico: preferisci godere con gli occhi di una bella donna viva o dipinta? questi risponde di preferire certo la prima, poiché nella vita vi è «una specie di splendore, qualche cosa come una luce in movimento, che l’immagine dipinta non può avere mai»; ma subito aggiunge (con l’argomento platonico) che nella sua Venere Zeusi «mise insieme in un’unica forma» tutta la bellezza delle ragazze di Crotone: perciò quella figura dà piacere, e «tu che dici che ogni piacere è un bene, non avrai nulla in contrario se io lo cerco e ne godo». Così la forma è fissata e insieme pulsante: cioè attualizza la «vibrazione di tutto ciò che vive», e fa drammaticamente oscillare anche la serena stabilità dell’edonismo epicureo.
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