Un volto limpido, romantico. Eppure trasformista. Un corpo espressivo, drammatico, capace di dare vita a personaggi mirabilmente sfaccettati. Un’icona, Un simbolo. Un’artista e una donna battagliera.
Se ne è andata ieri Carla Fracci, étoile del balletto italiano e mondiale, una protagonista che ha dato tutta se stessa alla danza: quante volte teneva a ricordare l’importanza di portare il balletto alla gente, di diffonderlo nelle piazze, nei più piccoli teatri, nelle carceri, nelle chiese, ovunque. Come aveva fatto lei per anni, insieme al marito regista Beppe Menegatti. Un’eroina cantata da Montale, amata da Eduardo, da Visconti, una donna abitata da un credo indefesso nella capacità della danza di far crescere le persone, di dar loro spessore.
«È importante – ci disse questo marzo – che un artista capisca profondamente, quando fa un ruolo, i sentimenti, lo stile, il portamento, ma anche avere l’umiltà ogni giorno di ripartire da capo. Vai ancora a lezione? Tutte le mattine si ricomincia dalla prima posizione, e si continua, si continua… ».
Vestita di bianco, come ormai da anni, non si può non ricordarla oggi come l’abbiamo vista pochi mesi fa, alla Scala, finalmente tornata a lavorare nel suo teatro su invito del direttore attuale del Corpo di Ballo scaligero, Manuel Legris. Le sue due masterclass su Giselle tenute in gennaio sono ormai un cult sull’account youtube del Teatro. Eccola insegnare a 84 anni uno dei ruoli chiave della sua carriera. Danza, si muove per la sala, la mascherina sul volto. Ricorda ogni passaggio, ogni dettaglio. Come mettere un mantello su Albrecht quando ormai Giselle è morta, come far ruotare la spada tra i contadini mentre si sta per impazzire, come gioire dei primi incontri, come soffrire del tradimento o danzare da pallida trapassata nell’atto delle Villi.

QUANDO si vuol far capire a qualcuno chi è la contadinella del famoso balletto romantico non c’è che far vedere in primis una registrazione di Carla Fracci. La sua scena della pazzia, magistrale nel mutamento dello sguardo da sospeso a folle, nella capacità di raccontarci già un aldilà mentre ancora si vive, resta ineguagliabile.
Legris ieri dalla Scala: «Ci lascia stupiti, in punta di piedi come Giselle, spirito che resta con noi, riempie le sale ballo, il palcoscenico e i nostri cuori, come la sua energia mai sopita, che ci ha catturato e affascinato quando è tornata a riabbracciare il Teatro e i suoi artisti. Un grande vuoto che, allo stesso tempo, ci fa sentire ricolmi e ricchi di tutta la sua storia, che è la storia del balletto, privilegiati per aver condiviso la sua arte che è vita, leggendario modello e fonte di ispirazione di tutte le generazioni di ballerine».

Qualche momento della sua carriera. Entra nella Scuola di Ballo un po’ per caso, da un’idea di un’amica di famiglia che vede la Carlina muovere quattro passi al Ragno d’Oro di Porta Romana mentre i genitori ballano un tango figurato. Carla, la futura stacanovista ballerina, si descrive a quei tempi come «una discola»: «marinavo la scuola per andare nei prati richiamata dalle infinite margherite che raccoglievo a mazzetti come facevo in campagna» (dall’autobiografia Passo dopo Passo, Mondadori Editore). Mai la Carlina, nonostante la notorietà, dimentica le sue origini, il periodo della guerra sfollata in campagna tra i contadini. Le resta addosso quella tempra da lavoratrice che l’ha fatta andare avanti fino all’ultimo. Nessuno avrebbe detto due mesi fa vedendola correggere i giovani ballerini scaligeri che stava per andarsene.

MA TORNIAMO alla sua vita. Presa alla Scala, Fracci pensa che le allieve ballino il valzer, il tango, la rumba, invece «erano ore e ore di sbarra, di esercizio al centro e di sbadigli»: la bimba non si applica. Ma la natura, la storia, l’importanza dell’impegno vince. Carla ricorda una frase commovente per il suo futuro di ballerina. A dirla alla bambina, la mamma: «Tuo papà e io lavoriamo molto. La vita è difficile, si fa tanta fatica, e per affrontarla ognuno di noi deve trovare la propria speranza».
E le cose cambiano.
Studiare alla Scuola di Ballo è vivere a contatto con la vita del teatro. Presto per la ragazzina la svolta: vede Margot Fonteyn danzare La Bella addormentata, l’aura luminosa che circonda la dama del balletto inglese, futura partner storica di Nureyev, la colpisce «in quel momento tutto sembrò avere un senso».

I PRIMI ANNI Cinquanta portano alla giovane incontri importanti: conosce George Balanchine, il padre del balletto neoclassico, è scelta da Luchino Visconti per Mario e il Mago, incontra Giorgio De Chirico, Quasimodo. È felice. Il diploma è nel 1954, l’anno dopo danza il Passo d’addio delle giovani appena uscite dalla Scuola. Montale sul «Corriere della sera»: «Una visione di estrema gentilezza, di fresca festività di giovanette adolescenti che per un’ora sognano di essere fate e piroettanti damine. Un divertissement in bianco e argento: un sogno come lo si poteva sognare a diciott’anni nell’Ottocento. Alle nascenti stelle Fiorella Cova, Carla Fracci, Gianna Melli, Bianca Musio, Angela Ravani ed Enrica Sbardella applausi interminabili».
Nello stesso 1955 Carla si rivela definitivamente in un balletto grazie a una sostituzione dell’ultimo momento, quegli eventi che per molti artisti della scena segnano il vero avvio della carriera. Fracci è Cenerentola al posto di Violette Verdy ed è un successo che passerà agli annali. Da allora i passi diventano veloci: un anno dopo la giovane è già prima ballerina del teatro. Gli inviti non si fanno attendere.

ECCO la giovane Tranvierina sentirsi offrire una scrittura cinematografica da Visconti, essere invitata da Anton Dolin, fondatore del London Festival Ballet, a danzare al Festival di Nervi il rifacimento di un cult del balletto romantico: il Pas de quatre accanto a Yvette Chauviré, Margrethe Schanne e Alicia Markova. Dolin volle poi Fracci a Londra a danzare Giselle, la paragonerà a una delle più sensibili interpreti di primo Novecento: Olga Spessitseva. Tra i tantissimi ruoli danzati nel mondo dall’étoile un posto a parte merita la Giulietta di Cranko, ma anche creazioni di altra temperatura come la Medea di Butler. Perché Carla Fracci, diva che ha danzato con partner eccelsi come Nureyev, Baryshnikov, Mario Pistoni, Erik Bruhn, non è stata solo una diva romantica. Ha lavorato in tv, ha ballato titoli come il sensuale Chéri di Roland Petit con Massimo Murru, è stata Winnie ne L’heure exquise di Maurice Béjart, da Giorni felici di Beckett, che, casualità, Alessandra Ferri sta per riportare in scena dal 4 al 6 giugno a Ravenna Festival e in settembre a Torinodanza.
Ci piace ricordare quello che Fracci ci disse l’ultima volta che l’abbiamo sentita, dopo le masterclass scaligere: «Potrei fare anche altro oltre a Giselle. Ho attraversato tanti mondi diversi, conosciuto e lavorato con molti maestri e coreografi verso cui ho gratitudine. Ho fatto esperienze cinematografiche, sceneggiati televisivi. Sono stata fortunata, ma la fortuna me la sono fatta anche da sola». Addio, Carla, grandissima artista.