In una parola
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Cari uomini dimettiamoci dalla guerra

In una parola La rubrica settimanale su linguaggio e società. A cura di Alberto Leiss
Pubblicato più di un anno faEdizione del 21 febbraio 2023

La premier neozelandese Jacinda Ardner si è dimessa dal proprio potere. Anche la prima ministra scozzese Nicola Sturgeon. Non hanno perso battaglie politiche o commesso illeciti. Non sono state sfiduciate dai parlamenti. Hanno dichiarato di voler cambiare vita, stare di più con le persone che amano, e anche con sé stesse, dopo tanti anni dedicati alla politica, al servizio della comunità.

Noi uomini, noi maschi, dovremmo dimetterci dal più negativo dei poteri, e anche dei desideri: quello di combattere, di mettere in gioco vita e morte nostra e altrui. Smettere di fare la guerra e di pensarla come cosa «naturale» e persino «giusta.
Ci riguarda perché da secoli e secoli siamo noi a farla. Di questo non si parla molto. Generalmente è rimosso. Persino tanti pacifisti sembrano non esserne consapevoli.

È come la lettera rubata di Poe: nessuno la vede perché è proprio davanti ai nostri occhi.

Anni fa – era il 2006 – con alcuni amici di Maschile plurale scrivemmo un testo che ebbe una sorprendente adesione, affermando una cosa altrettanto evidente: siamo noi uomini che facciamo violenza alle donne, il problema ci riguarda e dobbiamo farcene carico fino in fondo. Qualcosa si è mosso su questo “fronte”, ma non basta…
Sono convinto che vale anche per la guerra.

Oggi anche alcune donne, più libere, desiderano non essere escluse dal «gioco» bellico. È la parità. A maggior ragione facciamo una scelta diversa: affermiamo la possibilità, partendo dalle nostre vite, di un mondo capace di liberarsi – se non dalla violenza: si dovrà sempre agire per contenerla e trasformarla in conflitti non mortiferi – dall’idea che la violenza possa essere normale, anzi necessaria e giusta.

Antonio Polito ha citato su Sette del Corriere della sera un libro di due giovani donne (Ginevra Bersani Franceschetti e Licile Peytavin, Il costo della virilità, Il Pensiero Scientifico Editore, 2023). I maschi “eccellono” con percentuali tra l’80 e il 90, in tutte le attività violente e delittuose – dagli omicidi e femminicidi, alle truffe e gli incidenti stradali – è un costo per la spesa pubblica pari al 5 per cento del Pil. Polito non parla della guerra, ma lo fanno le autrici ricordando che la passione bellica è tipica della virilità e che l’economia di paesi come Afghanistan, Siria e Repubblica centraficana è stata distrutta dalla guerra. Difficile poi quantificare il costo delle stragi, degli stupri, delle ferite, del dramma di milioni di profughi.

Di questo si è discusso sabato 11 febbraio alla Libreria delle donne di Milano: ha introdotto Clara Jourdan e con me erano invitati a parlarne Marco Deriu e Alfonso Navarra (registrazione su Youtube).

Riporto solo qualche frase detta da uomini:

«Volevo essere il più forte del gruppo, ero intollerante…ma più che prevaricare gli altri volevo difendere me stesso». «È vero, ci si arma per paura di essere colpiti… è tipico di noi maschi rimuovere la nostra vulnerabilità». «Sento anche in me l’attrazione della logica del duello. Ma la competitività che porta alla violenza non è un fatto biologico. È una trappola culturale, potrebbe non esserci…».

Qualcuno ha invitato alla «mobilitazione»: sabato 18 c’è stata a Milano una manifestazione in Piazza della Scala contro l’invio di armi all’Ucraina. Con espressioni artistiche e interventi diversi (vedi il sito “Odissea”).

Io condivido soprattutto essere vicini agli uomini (e le donne) che disertano, in Russia, ma anche in Ucraina, e in tutto il mondo. A un anno dall’invasione di Putin, pensiamo e agiamo su questo?

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